di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La ultime iniziative e decisioni del governo Meloni stanno indirizzando la linea politica dell’esecutivo in direzione conflittuale verso la nostra democrazia parlamentare suscitando nei sinceri democratici serie apprensioni circa il futuro del Paese.
Innanzitutto la riforma costituzionale del Premierato, caratterizzata dalla scelta prioritaria dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, quindi dalla rottura dell’equilibrio dei poteri istituzionali che formano l’identità della nostra Repubblica, che apre scenari di estrema preoccupazione circa la qualità futura della stessa nostra democrazia. Inoltre, la ulteriore riduzione del ruolo del Parlamento, già ridimensionato dal numero esorbitante di decreti-legge governativi, e l’oggettivo ridimensionamento del Capo dello Stato in difetto di legittimazione.
Il nuovo Presidente del Consiglio si troverebbe nelle condizioni di super legittimato e quindi arbitro decisivo di eventuali conflitti. Una preoccupazione aggravata dal modo unilaterale e arrogante con cui il governo sta gestendo il potere, caratterizzato dalla occupazione manu militari dei diversi organismi dello Stato e una sistematica battaglia distruttiva degli avversari politici e di ogni altro soggetto potenzialmente in conflitto col governo.
Ciò avviene tramite una gestione settaria delle nomine (Rai, Inps), di favoritismi politici di parte, e di un attacco sistematico alle opposizioni, tanto più duro e volgare quanto più queste ultime sono in difficoltà. Si inquadra in questo ambito anche la recente accusa del Ministro Crosetto alla Magistratura, poi ambiguamente ridimensionata solo in parte, ma che rimane come rilevante occasione di propaganda e di pregiudiziale segnale contro possibili iniziative delle toghe.
Questo governo risulta infatti particolarmente debole ed esposto sul fronte della legalità, data la evidente mediocrità della sua classe dirigente che spesso si fa trovare in situazioni anomale e incompatibili con i ruoli esercitati, I casi La Russa, Lollobrigida e Delmastro, dei quali sono giustamente state chieste le dimissioni, dimostrano, senza ombra di dubbio, la loro inidoneità a ricoprire i loro incarichi. Il fatto, forse più grave, è che in tutti questi casi la premier Meloni ha respinto, senza incertezze né motivazioni, le richieste di dimissioni, blindando pregiudizialmente i loro incarichi.
Questo settarismo gestionale trova una ulteriore conferma nei rapporti europei e internazionali del governo, aggravati dalla opposizione di estrema destra della Lega di Salvini. Nei rapporti europei, mentre continua l’indecisione programmatica dell’Italia su Mes e Patto di stabilità, alla ricerca di un inesistente negoziato, la linea europea del governo risulta spaccata e priva di ogni credibilità.
Di fronte all’Ue, il governo italiano si presenta con tre linee diverse e del tutto inconciliabili: Tajani filogovernativo con il Ppe, Meloni di destra antieuropea con i Conservatori, Salvini di destra estrema con Le Pen radicalmente antieuropeo, al punto che, nella recente manifestazione di Firenze, se ne è uscito con una frase da manicomio: “L’Europa di oggi è occupata da abusivi”.
Con posizioni del genere, al di là, della coltre di propaganda con la quale si cerca di nasconderle, non si va da nessuna parte, come si è verificato con la debacle della candidatura di Roma per l’Expo, dove abbiamo raccolto meno della metà del voto degli Stati europei.
Non va meglio nella politica internazionale di Meloni, dove all’attivismo degli incontri, si associa spesso l’assenza di risultati come sta avvenendo nella politica migratoria e con il vuoto del Piano Mattei per l’Africa. Se la situazione che si profila dovesse tradursi in realtà, la storia della nostra Repubblica conoscerebbe una inedita realtà di divisione politica e istituzionale, destinata a tradursi in una inadeguatezza sostanziale delle politiche di riforma e di sviluppo. Una prospettiva di grave crisi che dovrebbe trovare, soprattutto a sinistra, una comprensione approfondita sulle sue gravi conseguenze che determinerebbe sul futuro dell’Italia.
Par far fronte a questa prospettiva il Pd dovrebbe uscire dall’attuale incertezza strategica elaborando una precisa e credibile alternativa, ben oltre la sommatoria di singole richieste, che politicamente viene prima di qualsiasi campo largo con il M5S, con o senza federatore.
A questa elaborazione, innovativa e riformista, dovrebbe accoppiarsi la crescita di una nuova classe dirigente, in modo da rendere plausibile la possibilità di realizzarla. Con la consapevolezza che, in tal modo, il Pd si gioca il suo ruolo storico e la sua stessa possibilità di avere un futuro. In questa prospettiva spetta un ruolo particolare anche al sindacato confederale, che, in modo autonomo e unitariamente, dovrebbe innovare in profondità la propria azione, con lo strumento di partecipazione del contratto, nel rapporto tra lavoro, nuove tecnologie, salario e welfare, e in tal modo offrire una prospettiva di intervento anche alla politica.