di Paolo Bartolini. Filosofo, tra psicologie del profondo e spiritualità laica. Pubblicato in Sinistrainrete del 23 settembre 2023.
Una delle domande più interessanti da porci sull'immediato futuro, è come potranno le grandi potenze emergenti non-occidentali fare i conti con l'economia moderna che hanno abbracciato come motore indiscutibile di sviluppo. Insieme all'economia di mercato (più o meno orientata da interventi statali) troviamo la tecnoscienza che fa da corredo all'espansione del processo di oggettivazione del mondo.
Culture come quella cinese e indiana sono molto lontane dall'intreccio di fattori culturali/sociali/materiali che hanno dato vita, alcuni secoli orsono, alla modernità capitalistica. Confucianesimo, taoismo, induismo, buddhismo ecc. si offrono all'umanità planetaria come meravigliosi sentieri di pratica e pensiero, che non poggiano su premesse onto-teo-logiche (quelle europee che hanno influito anche sul quadrante internazionale "angloamericano") e vivono di altre credenze e cosmovisioni. Sicuramente troveranno una loro ibridazione, cercheranno di convivere con il dispositivo tecno-economico fatto di investimenti, Borse, capitali, tecnologie digitali, "intelligenze" artificiali e così via.
Forse, proprio grazie a radici difformi dalle nostre, questi protagonisti emergenti della storia globale sapranno parzialmente governare la furia astraente, quantitativa e oggettificante delle scritture matematiche/algoritmiche al servizio dell'accumulazione continua. Tuttavia, visto che nessuna tecnica è neutra, anzi modifica l'umano in un circolo vizioso/virtuoso a seconda della prassi istituita, dobbiamo confrontarci con la possibilità che il mondo multipolare in via di farsi, rimanga drammaticamente soggetto ai vettori fondamentali del tecno-capitalismo.
Mitigare gli effetti delle diseguaglianze sistemiche e del disastro ecoclimatico è una sfida impossibile senza cooperazione internazionale, eppure per andare in direzione di una ripartizione equa delle risorse e ricchezze mondiali, nell'ottica di una sostenibilità ambientale e antropologica centrata sulla protezione dei beni comuni, servirebbe un'enorme conversione dello sguardo e dell'azione.
Se non abbandoniamo la sudditanza al segno morto del denaro-capitale, se non ancoriamo le nuove tecnologie ad un sapere per la vita (e non a una vita per il sapere-potere di stati, multinazionali e dispositivi anonimi), è probabile che su questo pianeta si confrontino fino al collasso dell'umanità mondi e modi dell'umano sempre più simili, appiattiti su logiche di funzionamento ed efficienza in crescita esponenziale.
E' possibile che le altre culture abbiano sufficienti anticorpi per resistere al veleno insito nella dismisura promossa dalla corrente maggioritaria (politica, economica, scientifica e culturale) del cosiddetto Occidente, ma ritengo sia ingenuo pensare a un'evoluzione in direzione di una desiderabile società della cura e dell'accoglienza, se non comprendiamo che determinate tecnologie e forme economiche recano con sé logiche sottili e pervasive, che influenzano la vita quotidiana, scavando dall'interno eredità plurimillenarie che provengono da tutt'altri discorsi fondativi.
Vedremo cosa accadrà, certo è che il nostro dovere di occidentali al tramonto è quello di raccontare agli altri, sempre meglio, da dove veniamo e dove siamo giunti nel momento in cui abbiamo smesso di problematizzare l'esistente e le nostre procedure/operazioni. Riabilitare e rigenerare la filosofia come arte della domanda e pensiero genealogico, per offrire ad altri popoli la prospettiva incarnata di un percorso contingente che tuttavia ha posto le basi per la globalizzazione e l'unificazione (forzata) del sistema-mondo.
Non c'è nulla di scontato in quello che ci aspetta, tranne il progressivo e inevitabile ridimensionamento delle ambizioni occidentali di dominio. Speriamo che i segni del nostro cammino (economia e tecnica moderna sono proprio questo) non si affermino trasversalmente in assenza di uno spirito filosofico che sappia portarne alla luce limiti e superstizioni.