di Sandro Spinsanti. Sguardi alla prossimità e all'etica della salute. Pubblicato nel blog dell'autore il 28 novembre 2023.
Il compito diventa sempre più arduo, fino a rasentare l’impossibile. Finora l’impegno dei formatori nell’ambito delle Medical Humanities era di indurre gli operatori della salute – medici, infermieri e i tanti altri professionisti impegnati nel lavoro di cura – ad ampliare il loro orizzonte mentale e pratico.
Si trattava di considerare non solo la dimensione dell’arte medica basata sulla scienza e le tecnologie, ma anche quella che considera l’essere umano nel suo vissuto di patologia e di cura; di convincerli a “umanizzare” la medicina, si diceva ricorrendo a un termine non privo di ambiguità. Con maggiore efficacia si potrebbe ricorrere al titolo di un libro dell’internista Claudio Rugarli, proponendo l’esortazione a non essere “Medici a metà”.
Ebbene, questo lavoro formativo non è più sufficiente. Mentre continuiamo a essere bombardati da cifre di professionisti che optano per una pensione anticipata (quante volte abbiamo colto tra di loro la domanda confidenziale: “A te quanto ti manca?” – per mettersi alle spalle il lavoro in sanità, ovviamente), ci rendiamo conto che il lavoro di cura non è più desiderabile. Ora si tratta di indurre chi vuol abbracciare una professione sanitaria a percorrere la via dell’eroismo. A meno che non preferiscano disertare la sanità pubblica e mettersi in affari con quella privata.
Li possono motivare i dati riportati da Marco Geddes da Filicaia in un articolo in Recenti Progressi in Medicina (settembre 2023): “Breve ma veridica storia dell’attività libero-professionale intramoenia”, sulla base di una relazione del Ministero della salute: con l’attività libero-professionale in intramoenia i medici guadagnano cifre nemmeno lontanamente comparabili allo stipendio di un medico dipendente. E rinunciamo a fare i conti in tasca ai “gettonisti”, che saltano da una struttura all’altra fornendo prestazioni, piuttosto che un’attività che meriti il nome di cura.
Dovremo dunque formare degli eroi, piuttosto che dei professionisti? Entrare nel servizio sanitario pubblico dovrà essere presentata come un’opzione di stile missionario? In epoca di Covid, quando la retorica pubblica eccedeva in elogi ai sanitari qualificandoli come eroi ed eroine, un’infermiera reagì indispettita: “Io eroina? Se sono eroina, devo essere stata tagliata male…”. È il caso di ripetere: infelice quella sanità che ha bisogno di eroi, piuttosto che di professionisti responsabili. E giustamente pagati.
Testo pubblicato anche in “Corriere Salute” il 26 novembre 2023 con il titolo: “La sanità non richieda ‘eroismi'”.