di Redazione di Linkiesta Forza lavoro tratto da newsletter del 29 gennaio 2024.
Più o meno un anno fa, il New York Times scriveva che stavamo entrando in una nuova “era dell’anti-ambizione”, quella in cui si guarda al lavoro solo come un mezzo per avere uno stipendio e pagare le bollette. Senza particolari motivazioni e senza sgomitare per fare carriera.
Il trend sembrerebbe confermato anche nell’ultimo Randstad Workmonitor del 2024. Viene fuori che il lavoro è importante nella vita per il 72 per cento degli italiani, in calo di cinque punti rispetto a un anno fa. E si dice «motivato» nel ruolo attualmente ricoperto il 60 per cento, nove punti in meno. Solo poco più della metà, il 51 per cento, si descrive come «ambizioso» per la propria carriera.
Ma davvero abbiamo «perso la spinta» come hanno titolato molti giornali?
Sempre dal report di Randstad, viene fuori in realtà che i più giovani non vedono il lavoro solo come un “bancomat”. Tra i nuovi entrati nel mercato del lavoro, il 67 per cento della Generazione Z e il 57 per cento dei Millennial si dice ambizioso. Poi, però, l’ambizione decresce con l’avanzare dell’età.
Leggi — L’era dell’anti-ambizione
Ascensore bloccato Per la grande maggioranza dei lavoratori italiani il problema è che in Italia è sempre più difficile ottenere promozioni economiche e avanzamenti di carriera.
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D’altronde, ad oggi sono scaduti 114 contratti collettivi di lavoro, il 61 per cento del totale. E sono in attesa di rinnovo oltre 7,6 milioni di dipendenti del settore privato su 13,2 milioni totali.
I manager italiani chiedono espressamente ai dipendenti motivazioni personali e ambizioni professionali in meno della metà dei casi (46 per cento). E appena il 34 per cento dei lavoratori sente di poter parlare liberamente con il proprio capo delle aspettative di carriera.
Non è un caso, forse, che i giovani all’ingresso nel mercato del lavoro siano anche meno motivati rispetto ai colleghi più anziani.
Quasi metà (49 per cento) degli italiani in passato ha richiesto al proprio capo un miglioramento di condizioni o retribuzione. In molti casi, senza ottenerlo. Tanto che per il 24 per cento la mancanza di opportunità di carriera è la motivazione per cui si lascia il posto di lavoro.
Nel 60 per cento dei casi, il datore di lavoro italiano non parla mai di possibilità di avanzamento di carriera. Nella media europea, questa percentuale è al 33 per cento. Poi ci chiediamo perché tanti giovani preferiscano andare a lavorare all’estero.
Il 67 per cento dei lavoratori italiani pensa che la responsabilità di un avanzamento ricada sul datore di lavoro: trenta punti in più della media globale.
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Come spiega Marco Bentivogli nel suo libro “Licenziate i padroni”, la colpa del disamore verso il lavoro andrebbe ricercata nei capi inetti e mediocri che spingono i giovani e l’innovazione verso il basso, facendo prevalere il narcisismo senile.