di Cecilia Alfier. Esploratrice dell'alieno e dello stigma
Se sei accompagnata è perché sei in difficoltà. Se sei da sola, devi comunque essere in difficoltà, altrimenti fai paura.
Io e il mio amico Lorenzo andiamo spesso al cinema. Lui nella vita fa molte cose, ma nel weekend aiuta la squadra di bocce para-olimpiche di cui sono parte ormai dal 2019. Ci chiamiamo Bocciabili e siamo decisamente chiassosi, la grande maggioranza di noi ha ambizioni agonistiche, io lo faccio per divertimento. Poi se becco un tiro ogni tanto è meglio.
Lorenzo è un volontario, ergo non ha disabilità. Mi piace il suo modo di porsi con chiunque, è gentile, ma senza invadenza, e non è uno di quegli assistenti che ti parla solo del tuo essere in carrozzina. Sì, lo so, dovrebbe essere scontato, ma non lo è. Molta gente che ha a che fare con disabili, a mio parere, non sa che pesci pigliare.
Insomma, io e Lorenzo siamo vicini d’età, ci piace andare al cinema, lui non si perde quasi nessun film ed è sempre interessante confrontarsi con lui dopo la visione. Non si limita a dirti “bello” o “brutto”. Puoi condividere o meno la sua opinione, ma lui dà alle storie la giusta importanza. A forza di andare al cinema insieme siamo diventati amici. Il multisala vicino a casa sua è nel complesso è ben attrezzata e ci siamo andati anche domenica. Mi ha accompagnato in bagno, tenendomi la porta dall’esterno, mi ha fatto da guardia da fuori; mi ha accompagnato come favore perché c’era una discesa e poi una salita per arrivare alla stanza e la porta non si chiudeva dall’interno. In conclusione, anche se fossi stata “normodotata”, mi sarei fatta accompagnare ugualmente.
E avrei fatto bene, perché dopo trenta secondi, un signore, per nulla disabile all’apparenza, voleva usare il bagno disabili. Attacca bottone con Lorenzo, dicendo se per caso vivo in qualche comunità. Capito? Lui era l’educatore! Ora 1) molto strano che uno cerchi di interessarsi di “persone speciali” (sono certa che ci chiami così), mentre usa il bagno destinato a noi; 2) la cosa più naturale da pensare è che fossimo amici. Ovviamente no, con tutto il rispetto per chi abita in comunità. Non ho nulla contro chi vive in comunità, ma nell’immaginario comune sono associate a problemi intellettivi, che sempre nell’immaginario comune sono associati alle disabilità fisiche. Così, di default.
E non si può fare nulla per questo, ma posso parlarne qui, almeno è uno sfogo. Cosa che devo stare attenta a fare sui social, perché altrimenti vengo tacciata di essere scontrosa, il che è vero.
Sono uscita dal bagno e ho detto al signore di farsi i fatti propri. Ma non credo abbia afferrato. Notizia per voi: non sto in comunità, ho un appartamento tutto mio, per cui ho fatto un mutuo (mia madre ha firmato come garante, come accade a chiunque voglia uscire di casa prima dei 50 anni in Italia). Ed è una casa normalissima, la differenza è che non ci sono gradini, ci sono due maniglioni in bagno e una fune per distendermi sul letto. Si può avere una disabilità e vivere per conto proprio, senza comunità e senza aspettare i funerali dei propri vecchi. So che è un concetto rivoluzionario per molti.
Solo due ore prima avevo giurato che non mi sarei più arrabbiata. Ero davanti al cinema, non ancora aperto, era prima delle tre. Si era formata una piccolissima folla, perlopiù di persone sopra i sessanta. Ho telefonato a Lorenzo, al quale mancava una fermata di autobus. Appena ho messo giù il telefono, una signora si è avvicinata dicendo che io avevo priorità. Proprio per questo non posso mai fermarmi senza “scudi” in mezzo a situazioni sociali: sono sempre oggetto di attenzioni indesiderate. E, spesso, neanche bastano gli scudi. Visto che ti tormentano anche se sei al telefono.
«Non voglio nessuna priorità» ho risposto, arrabbiata e chiara.
Un’altra anziana ha detto: «È solo un atto di gentilezza»
«Non la voglio la vostra gentilezza! Avete rotto i coglioni, tenetevela la vostra gentilezza, fatevi gli affari vostri!».
Le vecchiette pensavano che fossi solo scorbutica, mentre un uomo vicino mi guardava con un sorriso complice e gli occhi brillanti di chi voleva dirmi “ti capisco”.
«È trent’anni che subisco la vostra gentilezza indesiderata, io sto meglio del 90% di tutti voi messi insieme. Fattemi fare la fottuta fila!». Le signore si sono azzittite.
A volte vado al cinema con il mio fidanzato motorizzato, raramente visto che lui al cinema vede solo Batman. Gli tengo la mano, gli annuso il collo, gli do un bacio sulla guancia e mi trattengo per non fare atti osceni in luogo pubblico. Con i miei amici queste cose non le faccio, eppure il tizio alla biglietteria continua a chiamarci “amici”. Dopo tre volte l’ho corretto, ho ottenuto che dicesse entrambi i termini, sia amico che compagno. Penso che sia anche colpa del mio fidanzato, che adora far credere a lui e ai vicini che siamo solo amici, perché sa quanto mi dà fastidio. Mi vendicherò, amico.