di Alessandro Bruni.
Marcello Veneziani, oggi 7 gennaio 2024, sul suo blog scrive:
Dall’inizio dell’anno l’evento politico più importante che ha diviso media, politici, opposizione e governo, è un pistolino che ha sparato, inteso sia come arma che come persona. Se n’è parlato per giorni. L’episodio in sé non meriterebbe commento se non si inserisse in una lunga scia di dibattiti, talk show, conferenze stampa, interventi parlamentari e dichiarazioni su risvolti banali, episodi trascurabili, pettegolezzi, parole rubate o commenti filtrati nei social, piccole stupidità di piccoli esponenti politici elevati a categoria della politica, spie di una condizione generale, prove di chissà quale svolta autoritaria. Ogni caso privato, individuale e singolare, viene elevato a paradigma ed esempio rappresentativo. Disastro nazionale fu considerato per esempio la fermata straordinaria di un treno per consentire a un ministro di partecipare a una manifestazione pubblica. Minima sciocchezza a cui è stato dato Massimo Rilievo, quasi fosse il segno di un’epoca e la nascita di un regime. Mi rifiuto di inseguire questa miserabile contabilità e di partecipare a quei dibattiti sul nulla; osservo che siamo entrati nell’età politica del trash. Il trash inteso come immondizia, avanzi indecenti della politica e della comunicazione.
Trovo le sue affermazioni condivisibili, ma molto meno le giustificazioni dei diretti interessati (o colpevoli). Risposte tutte imperniate su una comunicazione fortemente alterata e sorretta da un presupposto che sembra far intuire “che a loro è permesso e ad altri no” perché loro possono anche non dover dare conto (si legga la cronaca per avere i dettagli di queste misere giustificazioni). Trovo sbagliato che il capo del governo debba dare conto di questi comportamenti, ma trovo fondamentale che la giustizia, e il parlamento si debbano esprimere, valutando e giudicando.
Giornalisticamente però questi fatti, come per altri, finiscono col trovare processo subito e non nei luoghi istituzionali della democrazia. Un altro comportamento trash che trae giustificazione dalla lentezza con la quale viene somministrata la giustizia e purtroppo dalla convinzione che l'esercizio democratico e il coinvolgimento delle istituzioni deputate sia inadeguato. Si dimentica che la vera democrazia è per costituzione fragile e lenta. Solo gli autoritarismi portano al giudizio sommario.
Nell'accaduto citato le giustificazioni, o gli occultamenti perpetrati dagli attori, sono più trash dei fatti. Un comportamento che è intriso nell'agito e nella narrazione di una forte nostalgia, conscia o inconscia, di un lontano passato quando figure dittatoriali piccole e grandi superavano gli avvenimenti personali più “sporchi” con l'idea che il fine, imperiale o collettivista, giustificasse ogni mezzo.
La nostalgia politica è una forza potente e proprio per questo può arrivare a essere pericolosa, alimento delle più folli e reazionarie passioni (basti citare le odierne guerre in Ucraina e a Gaza). Ancora oggi si trovano dei giovani “nostalgici” del fascismo che, ovviamente, non hanno mai conosciuto e hanno solo un'immagine di manipolazione riflessa da altri con sconfinamenti di propaganda dell'ideologia fascista condannata dalla Costituzione italiana. E parimenti nostalgici appaiono, come cita Veneziani, gli appartenenti all'Anpi in un tempo in cui più non esistono partigiani vivi, un associazionismo che fatica sul piano ideologico a passare da una militanza a una appartenenza di libertà (basti pensare politicamente alle associazioni che si riferiscono a Gramsci o a Matteotti che già da tempo hanno fatto questo passaggio ideologico).
Si giustifica tutto questo con la forza della nostalgia che esprime nella giusta misura anche una espressione di cultura sempre che sia immersa in un corretto contesto. Certo è che il contesto di oggi è sostanzialmente diverso da quello del passato, un contesto che non è più valutabile da sociologi che studiano l'oggi, ma a ben vedere da storici che sanno ricomporre il passato.
Veneziani fa riferimento nel suo post alle nostalgie politiche, le quali, come scrive Marc Augé in Il tempo senza età. 2014, pp.96-97, si distinguono da quelle imperniate sul passato vissuto quanto da quelle che attingono dal passato che si sarebbe potuto vivere. Continua Augé sul tema:
Tradizionalisti e reazionari sono i guerrieri dell'immaginario, utopisti di un passato illusorio quanto l'utopia dei progressisti, tuttavia – più ipocritamente – fondano l'ordine nuovo al quale aspirano su un passato che non è mai esistito o è inconfessabile. In senso lato, nella vita politica sussiste un ricorso ambiguo al passato ricomposto che gioca – o cerca di farlo – sull'evocazione del tempo andato, di grandi esempi e di grandi uomini come per suggerire che tutto potrebbe “ri”diventare possibile. Tutto questo poggia su questo “ri” che sembra postulare l'esistenza di una storia reale: non ci resta che ritrovarla, come se il virtuale di oggi fosse il reale di ieri.
È così che nascono le nuove appartenenze mitizzate, oscillanti tra attivismo fascista e bolscevico. È così che la nostalgia e la giustificazione esistenziale finiscono col cadere nel comportamento ambiguo individuale e collettivo: accade in politica come nelle relazioni. Si elude la verità interpersonale ed intrapsichica e sono dimostrazioni di nevrosi o piccoli crimini al confine tra la patologia e l'etica.
I politici, come altre persone di apicalità sociale, finiscono col cadere nel gioco dell'ambiguità e in questo modo evitano il conflitto interiore, tra insicurezza e volontà di dominio, ma devono condividere dentro di sé identità molteplici non controllabili: come si potrebbe altrimenti spiegare il voler esibire un'arma o esigere la fermata di un treno?