di Raphael Rauh. Pubblicato in Mind n.229 di gennaio 2024. Sintesi di Alessandro Bruni. Invito alla lettura del testo originale. L'autore è ricercatore sul ruolo della solitudine in filosofia e in medicina.
La solitudine può procurare danni alla nostra salute fisica e psicologica, ma può anche essere vissuta come uno spazio di libertà, dove fermarsi a riflettere e magari essere indulgenti verso sé stessi e le proprie debolezze.
Fare esperienza della solitudine, soffrirne e superarla sono cose che fanno parte della condizione umana. La solitudine ci dà la calma e il tempo necessari per passare in rivista le nostre esperienze, soppesare pensieri e sentimenti e riflettere sulle relazioni con gli altri. È una forma di conoscenza che non porta necessariamente a intuizioni profonde e neppure a qualche forma di illuminazione che può rivelarsi utile.
Secondo Hannah Arendt la solitudine è una esperienza formativa che insegna a sopportare sé stessi che promuove l'indipendenza e l'autonomia. In definitiva, secondo Arendt, una coesistenza moralmente riuscita dipende tra l'altro dal fatto che ciascuno abbia imparato a restare da solo e in conversazione con sé stesso.
Stare da soli dà anche la possibilità di fare esperienze spirituali, in cui l'individuo si addentra e si immerge in sé stesso, che sia nella preghiera, per stabilire un rapporto intimo con un essere superiore, oppure per superare i confini della coscienza del singolo, come in certe pratiche di meditazione. Anche le persone non religiose possono percepire questa forma di solitudine come arricchimento: come apertura e relativizzazione della propria personalità, come la sensazione di essere connessi a un tutto trascendente di cui si fa comunque parte.
Infine si può vivere la solitudine anche come incontro intimo con sé stessi. In questo caso si impara a bastare a sé stessi e a essere indulgenti verso le proprie debolezze e i propri bisogni. È possibile tenere presente in m odo amorevole la relazione con le persone care, il che fa nascere un senso di gratitudine. Così in questo stato si è fisicamente da soli, ma ci si sente legati agli altri e parte di una comunità.
In definitiva una conclusione importante è questa: in parte, il modo in cui viviamo la solitudine dipende da noi. Non siamo alla sua mercé, possiamo plasmarla e quindi influenzare quello che ci fa e il modo in cui la viviamo. E al suo interno possiamo imparare a conoscerci meglio, ad accettarci e ad amarci.