di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Enrico Varrecchione ha scritto un bel articolo su Linkiesta (leggi qui l’articolo completo).
Da anni Oslo attua politiche per attirare lavoratori provenienti dall’Ue (specie dal Sud Europa) grazie a un sistema che riconosce le qualifiche professionali, mentre l'Italia fatica a trattenere i suoi giovani talenti. I norvegesi emigrano più degli italiani (2,1% della popolazione tra 20-64 anni, vs 1,8% degli italiani), ma saranno più di noi nel 2060 in base ai trend attuali di natalità e immigrazione (da 5,4 milioni a 6, mentre l’Italia scenderà da 59 a 49 milioni).
Il motivo è la maggiore capacità attrattiva. I norvegesi emigrano per ragioni legate alla qualità della vita più che economiche. Vanno in UK o nei paesi limitrofi, ma attraggono lavoratori dall’Europa (pur non facendone parte), semplificando il riconoscimento dei titoli di studio. Il comune di Oslo ha avviato una procedura sperimentale per accelerare l’accesso dall’estero per chi ha un’offerta di lavoro in città.
Giulia e Michele sono due infermieri che sono riusciti a superare l’ostacolo linguistico e inserirsi in Norvegia, un paese che offre sicurezza sociale e maggiori opportunità e salari dell’Italia. L’aspettativa di vita è la stessa del nostro paese (crescerà a 90 anni, come in Italia nel 2060), ma l’età media più bassa (41,1 anni vs 46,5) per le maggiori nascite e maggiori flussi migratori. In Norvegia il 35% della popolazione (over 16) ha almeno una laurea triennale (in Italia il 20%) ma ciò non preoccupa, anzi.
Anche il comune di Høyanger, perla tra i fiordi a metà strada tra Bergen e Trondheim, ha provato a reclutare infermieri spagnoli offrendo corsi di lingua, ma qui non ha funzionato in quanto gli spagnoli sono o tornati a casa o cercato una sistemazione più vicina alle grandi città, per cui si è ripiegato su personale a tempo determinato attraverso agenzie interinali.
Questo fenomeno della “polarizzazione” territoriale si sta già verificando anche in Italia e si accentuerà, perché anche se le città sono più care (per affitti,…) sono più attraenti per vita sociale e servizi. Ciò potrebbe colpire non solo i Comuni più periferici rispetto alle città, ma anche le città deboli (e con calo demografico) prossime alle città più forti.
L’Italia “invia” giovani in Norvegia, ma non ne attrae dall’Europa: il 57% degli immigrati in Norvegia proviene dalla UE, mentre in Italia sono il 36% e ciò è dovuto al mancato riconoscimento dei titoli di studio nonostante manchi la manodopera qualificata.
Secondo Elisabeth Holvik, capo economista del colosso bancario Sparebank il rimedio di ricorrere a personale con formazione estera non può reggere sul lungo termine, vale anche per gli Stem (scienze, ingegneria, tecnologia e matematica). Dopo la caduta del Muro di Berlino, molti paesi occidentali hanno immaginato che in un mondo pacificato e democratico si potesse trarre beneficio dalla libera circolazione, ma ora che si verificano tensioni e la globalizzazione si è arrestata, i paesi che non hanno puntato su certi settori sono più deboli e secondo lei bisognerebbe potenziare le lauree Stem, in Informatica, AI e cybersicurezza.
Il problema però (dico io) è che non sappiamo come sarà il lavoro tra 20-30 anni per cui (a mio avviso) non conviene “puntare troppo sulle lauree Stem” o “allineare” le lauree alle richieste delle imprese o professionalizzare in modo anticipato i giovani. Semmai incentivare cosa i giovani vogliono fare e usare il Lavoro (ben organizzato e tutorato) come integrazione dell’Istruzione per imparare anche dalla Vita e dal Lavoro. Io sono anche per dare maggiore contenuto di Arte, Manualità e Creatività nelle scuole in modo che il giovane abbia uno sviluppo armonico. Ci penseranno poi le imprese a dare la formazione specifica dell’”ultimo miglio” in una società in cui nessuno sa come sarà il lavoro, ma dove la creatività e la capacità di essere una persona armonica si sa che sarà fondamentale.
Tornando alla sanità, la situazione italiana è decisamente cupa. Roberto Chierchia (segreteria nazionale Funzione Pubblica CISL) dice che “la fuga dei professionisti sanitari dal nostro paese altrove è un problema serio; la formazione universitaria è di qualità, così i nostri laureati sono ambiti in Germania dove un infermiere guadagna 41mila euro annui, in Belgio e Irlanda 50mila, in Svizzera 61mila euro. Al Nord Italia, poi vanno nel privato che paga di più. Un rischio enorme per il Servizio Pubblico che rimane fondamentale”.