di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
In Italia gli immigrati arrivati con sbarchi nel 2023 (al 29.12) ammontano a 155.754, mentre nel 2022 furono 103.846 e nel 2021 67.040. Ciò significa che quest’anno sono stati quasi simili al totale dei 2 anni precedenti messi insieme (fonte Ministero dell’Interno). In rapporto alla popolazione sono 0,26%, meno della metà di quanto avvenuto negli Stati Uniti (0,6%) e meno di un quarto della Gran Bretagna dove il flusso migratorio è stato massiccio (745mila), se si escludono i paesi dove l’immigrazione è per guerre (Polonia, Russia,…).
Nel confronto internazionale il problema immigratorio italiano appare, pertanto, modesto. Non è un caso che il primo problema che le nostre imprese lamentano è quello di carenza di personale più che di “invasione”. Il tasso di difficoltà a trovare personale è salito al 45,1% ma nell’industria meccanica e del mobile sale al 57%. Inoltre la maggioranza di chi sbarca in Italia ha come obiettivo non quello di risiedere qui ma altrove (Germania,…).
Ciò spiega perché i decreti flussi legali attivati dal Governo italiano siano triplicati nel 2023 sul 2022 (da 43mila a 136mila posti disponibili). Per la verità se fosse stato per imprese e famiglie le richieste sarebbero state 5 volte superiori: 609mila, di cui 248mila per lavoro dipendente non stagionale, 282mila per lavoro stagionale e 78mila per assistenza famigliare o socio-sanitaria, a dimostrazione dell’enorme fabbisogno. Il “click day” che sarebbe il giorno di questa assurda procedura in cui le imprese richiedono via internet al Ministero il lavoratore da assumere è slittato ancora a febbraio. Le imprese (e le famiglie) devono precompilare una domanda che arriva agli sportelli unici per l’immigrazione della Prefettura che devono rilasciare il nullaosta al lavoro entro 20 giorni per gli stagionali e 60 giorni per i dipendenti. Al 31 gennaio erano stati dati il 54% dei nulla osta per gli stagionali (su 82mila posti previsti, altri 9.500 posti sono per assistenza famigliare ma ci sono 78mila domande e altri 44mila per i dipendenti contro 248mila domande).
Anche in passato le domande erano superiori ai posti disponibili ma ora siamo arrivati a livelli record (5 volte). Dal click day (per quei pochi che ce la fanno) all’assunzione possono però passare molti mesi e nel 2022 e 2023 solo il 30% dei posti disponibili si sono davvero trasformati in assunzioni. Le ragioni sono varie, si va dall’impasse nel rilascio dei visti dei nostri consolati all’estero che impiegano molto più dei 30 giorni previsti per legge, ai ritardi nella convocazione da parte delle Prefetture per chi è entrato e ha già cominciato a lavorare e se sono troppo lunghi le imprese poi non assumono più. Infine ci sono frodi da parte di padroni o imprese fittizie che fanno domanda ma poi chiedono una tangente a chi arriva per cui poi questi immigrati cercano di trovare lavoro spesso in Europa. Per questo si vuole dare più peso alle Associazioni datoriali nel controllo e presentazione delle domande.
Il declino demografico acuisce il fabbisogno di lavoratori delle imprese e ciò determina nel lungo periodo se non governato un potenziale conflitto tra “ragioni del capitale e del profitto” e “ragioni dei cittadini” che ambiscono ad una convivenza pacifica, la quale è tanto più possibile se l’integrazione degli immigrati avviene con gradualità nelle proprie comunità. Sappiamo infatti che l’incontro tra popoli è di per sé ricco ma deve avvenire anche con gradualità e cura. Sia l’isolazionismo che un flusso minaccioso in quanto gigante sono polarità negative.
Gli scenari sui flussi migratori sono, pertanto, due:
a) uno positivo in cui c’é guadagno per tutti se c’è gradualità e organizzazione. L’Italia avrebbe più occupati regolari che pagano imposte e contributi e immigrati che contribuiscono a far fronte ai problemi del personale. Le nostre comunità più ricche ma anche sicure.
b) uno negativo che vede un danno per tutti con l’arrivo di molti immigrati illegali, non regolarizzati, sfruttati che portano via lavori poveri ad altri italiani e non pagano né tasse né contributi. Questa seconda via favorisce posizioni xenofobe e aggrava sia le condizioni di finanziamento del welfare degli italiani (pensioni, salute,…), sia l’occupazione degli italiani, in quanto è dimostrato che sia i nuovi servizi avanzati che quelli a modesto valore aggiunto necessitano di un mix di personale formato sia da italiani che da immigrati.
L’Italia dimostra ancora una volta una incapacità (soprattutto organizzativa e di apprendimento delle buone pratiche degli altri) di come gestire un fenomeno molto complesso ma affrontabile. Essendo diventato un aspetto da “propaganda elettorale”, come tale viene fatto appositamente “marcire”, secondo il motto “tanto peggio tanto meglio”.
Eppure sarebbe possibile organizzare flussi legali e ordinati, soddisfare le richieste delle imprese, integrare al lavoro gli immigrati (in Germania il 53% di chi arriva poi lavora) con beneficio di tutti (italiani e immigrati).
La ripresa della natalità è benvenuta ma ha effetti sul mercato del lavoro tra 20 anni.
Sbarchi in Italia dal 2016 al 2023 e decreti flussi per immigrazione legale:
L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa consente di capire quali sono le politiche immigratorie di un paese che non è più in Europa e che ha avuto una grande esperienza coloniale e ha ancora solidi legami col Commonwealth, da cui proviene ancor oggi la gran parte degli immigrati che sono preferiti agli stessi europei e i cui cittadini hanno qualche privilegio in più: possono per esempio votare qualora abbiano la residenza (in attesa della cittadinanza) mentre gli europei no. E’ nota la preferenza degli inglesi per indiani e pakistani e non per i polacchi per esempio.
Nel 2015, prima del referendum sulla Brexit, gli immigrati furono in quell’anno 329mila. Nel 2019 furono 245mila e Boris Jhonson aveva promesso che si sarebbe scesi. In realtà è avvenuto il contrario al punto che nel 2022 il saldo migratorio è stato record e pari a 745mila unità (immigrati meno emigrati). Una cifra enorme se si pensa che negli ultimi 2 anni la popolazione britannica è cresciuta di 1,2 milioni e dal 2000 ad oggi gli immigrati regolarizzati come residenti sono stati 7 milioni, facendo salire la popolazione da 59 a 66 milioni.
Il Governo inglese non sa cosa fare pressato da un lato dalle imprese che cercano manodopera e dalla maggioranza degli elettori che vogliono ridurre il flusso degli immigrati. Il ministro dell'Interno Suella Braverman, un “falco” sull'immigrazione, ha dichiarato che bisogna addestrare i cittadini britannici a fare tutti i lavori finora svolti da immigrati. Nel frattempo il Governo ha concesso altri 45mila visti temporanei nel settore agricolo e la previsione è che il numero salga a 70mila. Stessa situazione nella pesca dove i visti di lavoro sono aumentati del 119% a 300mila nell'ultimo anno. Il partito laburista all'opposizione ha definito “caotica” la posizione del Governo che nell’estate scorsa aveva limitato il diritto degli studenti stranieri a farsi accompagnare da familiari.
La grande immigrazione è dovuta anche alla forte dinamicità dell’economia inglese che ha un tasso di occupazione 14 punti superiore a quello dell’Italia (75,6% vs 61,5%) equivalenti a 33 milioni di occupati (di cui 8,4 a part-time) su 66 milioni di britannici.
Un tasso di occupazione di queste dimensioni per l’Italia (con 59 milioni di abitanti) significherebbe avere 29,5 milioni di occupati (anziché i 23,66 che abbiamo), cioè 6 milioni in più. Ciò spiega anche la forte crescita del salario minimo, salito da 6,5 sterline all’ora nel 2014 a 10,4 nel 2023 (come dire da 7,5 euro a 12 euro, https://it.tradingeconomics.com/united-kingdom/)
La forte affluenza degli immigrati aveva portato il primo ministro Sunak a proporre (come la Meloni con l’Albania) la spedizione degli illegali in Ruanda, ma il paese africano ha risposto picche per cui la proposta è (per ora) naufragata. A questo punto si è alla ricerca di qualche altro vincolo all’immigrazione che pare potrebbe essere quello di alzare la soglia del visto di lavoro da 26.200 a 35mila sterline lorde all’anno come retribuzione per consentire l’ingresso solo a professionisti super qualificati, evitando la “dipendenza dal lavoro a basso costo”. Pare che anche il Labour Party sia d’accordo ma la proposta si scontra con la realtà che vede le imprese richiedere soprattutto lavoratori con salari dalle 20mila alle 30mila sterline all’anno (23mila-35mila euro). Si propone anche di agganciare le retribuzioni all’inflazione per le badanti e assistenti alla persona che ora sono pagate 20.960 sterline ma proibendo al contempo di portare con sé famigliari.