di Marco Geddes da Filicaia. Pubblicato in Salute internazionale del 17 gennaio 2024.
La decimazione di medici e infermieri ha, dolosamente o colpevolmente, utilizzato più strumenti: Il blocco delle assunzioni. La mancata programmazione della formazione dei medici. L’imbuto delle scuole di specializzazione.
Nei settori in cui la libera professione e le attività ambulatoriali sono prevalenti, vi è invece una richiesta di borse di studio che tende a saturare l’offerta: ad esempio per Dermatologia (non assegnate 1%) cardiologia (4%) Chirurgia plastica (4%) Oftalmologia (6%). Le ragioni di tale fuga dalle specializzazioni viene evidenziata da più rilevazioni o interviste. “I medici specializzandi – dichiarano vari giovani colleghi – sono mal pagati, sfruttati e costretti a pagare affitti altissimi”.
Infine l’utilizzo degli specializzandi nel solo, o nell’assoluto prevalente ambito universitario, talora per sostituire di fatto i professionisti incardinati e la non istituzione di learning hospital, con diritti e doveri analoghi ai dirigenti medici è un ulteriore motivo di questa disaffezione.
Criticità rilevanti emergono anche riguardo alla formazione del personale infermieristico. Il trend nei corsi di laurea in infermieristica evidenzia una contrazione dei posti disponibili fino al 2019, con un incremento (stimato per gli ultimi 4 anni) di laureati. Tuttavia negli ultimi tre anni sono calate le domande di accesso che, in alcuni atenei, non raggiungono nemmeno il numero dei posti a bando.
Nell’ambito complessivo della decrescita dei salari, che ha interessato il nostro paese dal 1990 ad oggi, anche quello dei medici e infermieri ha avuto una riduzione rispetto al potere di acquisto, cosicché ad oggi i salari medi di medici e infermieri sono assai più bassi di molti paesi europei e ulteriore causa di un fenomeno migratorio.
Gli stipendi dei medici sono stati tenuti bassi, e progressivamente ridotti con tre meccanismi: un ridotto incremento nei rinnovi contrattuali che non ha tenuto conto dell’inflazione e del potere di acquisto; una dilazione nella sottoscrizione e conseguente messa in atto degli accordi e infine un meccanismo più subdolo: la riduzione delle carriere. Tale contrazione, giustificata talora da una necessaria riorganizzazione, è stata più diffusamente applicata al fine di ridurre le spese del personale, poiché il passaggio a funzioni diverse comportava un incremento stipendiale.
Analoga situazione per il personale infermieristico, con una retribuzione annua lorda di 34. 875 €, a fronte di una media EU di 43.348. A ciò si aggiungono elementi specifici, quali mansioni di livello professionalmente più basso rispetto ad altri paesi e un sistema complessivo di welfare debole (abitazioni, asili nido, trasporti); un aspetto che pesa maggiormente su un personale in larga prevalenza, per oltre due terzi, femminile.
Questa situazione determina una fuga dei professionisti, medici e infermieri, sia verso il privato che all’estero. I dati disponibili sono frammentari e mancano in particolare informazioni sul passaggio da pubblico a privato. Il trasferimento in altri paesi non sarebbe di per se un fenomeno negativo qualora indice di un interscambio di professionisti e di esperienze. Il problema italiano è che non si tratta di interscambio, ma di un percorso a senso unico.
Nel breve periodo necessitano interventi tampone, con stabilizzazione delle assunzioni temporanee, incremento della retribuzione delle borse di studio per gli specializzandi, migliori condizioni di lavoro inserendo gli specializzandi nella rete ospedaliera, facilitazioni per sedi disagiate e per attività sanitarie meno attrattive.
La formazione di infermieri e, in particolare, di medici, comporta tempi lunghi e quindi un impegno continuo, un confronto con i sindacati, i giovani medici, i professionisti, gli esperti, per un piano decennale, “un piano solido ed efficace per garantire di avere il numero giusto di persone, con le giuste competenze e il giusto supporto per essere in grado di fornire il tipo di assistenza di cui le persone hanno bisogno”, che riguardi la formazione, i livelli stipendiali e le assunzioni nel SSN vincolando l’incremento di finanziamento, che le Regioni (Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Piemonte) chiedono, allineando la spesa sanitaria al 7,5% del Pil nel giro di un quinquennio, a questi obiettivi e non disperdendolo in acquisto di servizi dal privato e altre forme di esternalizzazione.
sintesi di Alessandro Bruni
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