di Flavio Pintarelli. Pubblicato in Il tascabile del 11 gennaio 2024.
Come ebbe a dire uno dei suoi teorici più importanti, Carl von Clausewitz, la guerra è un’attività conservatrice e in constante cambiamento allo stesso tempo: ogni guerra è perciò il precipitato della conoscenza generata da ogni altra guerra che l’ha preceduta, aggiornato alle più recenti acquisizioni tecnologiche, intellettuali e contestuali.
A giustificare questa definizione sono soprattutto tre elementi: la complessa e intrecciata rete di sensori civili e militari presente sul campo di battaglia; la digitalizzazione delle infrastrutture e dei processi di comando e controllo; l’utilizzo sempre più esteso di sistemi autonomi e di contromisure volte a limitarne o inibirne le capacità.
Il primo di questi tre elementi è conseguenza diretta della nascita e dello sviluppo delle comunicazioni satellitari e della rete internet, che hanno permesso di integrare la connettività in un numero sempre crescente di oggetti i quali, grazie ai sensori di cui sono dotati, possono raccogliere e generare dati da condividere in rete.
Il secondo è lo sviluppo del software di consapevolezza situazionale denominato Delta: sviluppato dall’industria bellica ucraina a partire dal 2017, Delta è diventato rapidamente uno dei software di comando e controllo più sofisticati al mondo, permettendo l’integrazione di una grande mole di dati e la loro condivisione in tempo reale lungo l’intera catena operativa.
Il terzo e ultimo elemento di innovazione è il complesso di sistemi autonomi e le contromisure necessarie per limitarne o inibirne le capacità. Di questo complesso fanno parte i diversi tipi di droni – aerei, navali e terrestri, militari e civili – che sono stati utilizzati in modo crescente nel corso di tutti e tre i conflitti analizzati e per una molteplicità di scopi che vanno dalla ricognizione al controllo del tiro, dal bombardamento aereo al trasporto di equipaggiamento, fino all’evacuazione di personale ferito e a molti altri utilizzi ancora.
L’introduzione e l’uso sempre più esteso di questi tre elementi – reti di sensori, digitalizzazione delle infrastrutture di comando e sistemi autonomi – sui campi di battaglia odierni determinerà una serie di importanti implicazioni nel prossimo futuro.
Questa dimensione è uno degli aspetti più inquietanti che la prospettiva di una guerra condotta con l’ausilio di sistemi di intelligenza artificiale proietta sul nostro futuro. Tali sistemi, infatti, operano in modo più rapido del pensiero umano, accelerando ulteriormente il processo necessario a trasformare i dati in conoscenza che informa l’azione.
Qualora gli utilizzi bellici dell’intelligenza artificiale venissero spinti al loro limite estremo, a essere reso autonomo dal controllo umano sarebbe dunque l’atto di uccidere che, delegato all’AI, porrebbe problemi etici di notevole portata. Lo scopo di un sistema autonomo, infatti, è capire e soddisfare un bisogno: più che eseguire un compito, questi sistemi devono raggiungere un obiettivo, valutando il modo più efficiente per farlo e agendo senza alcun istinto di conservazione.
A un sistema d’arma autonomo verrebbe perciò a mancare la distinzione tra quello che è legale e quello che è giusto, cancellando ciò che rende ogni soldato l’ingranaggio imperfetto di ogni macchina militare: la sua coscienza.
Priva di questo elemento, la guerra non sarebbe altro che la cieca e spietata esecuzione di ordini e istruzioni dirette al raggiungimento di un obiettivo, un’attività del tutto priva di quell’istinto di conservazione che, finora, ha garantito all’umanità la sopravvivenza in un’epoca di armi di distruzione di massa.
sintesi di Alessandro Bruni
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