di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
La nipote della dinastia Basf Marlene Engelhorn (31 anni) donerà il 90% della sua eredità (25 milioni di euro). Ha fondato il movimento “Tax Me Now”, dopo che l’Austria ha deciso di togliere la tassa sulle eredità nel 2008. 50 persone rappresentative dell’intera società austriaca saranno sorteggiate e pagate per 6 week end per decidere a chi donare i 25 milioni, in base ad alcune buone regole. Tra i decisori non ci sarà Marlene che si dovrà trovare un lavoro e pagare le tasse come fanno tutti. Se non ci sarà accordo unanime i soldi torneranno nelle mani di Marlene che contesta una società che non fa pagare ai ricchi e costringe molte persone a vivere miseramente.
La nonna Traudl Engelhorn-Vecchiatto morta a 94 anni ha lasciato un patrimonio di 4,2 miliardi ma gli altri eredi si guardano bene dal fare donazioni, mentre la nipote Marlene, attivista di Oxfam, anche quest’anno è andata a Davos per chiedere che i ricchi paghino le tasse sulle eredità, ma non ha avuto una buona accoglienza.
Il Corriere della Sera riporta la notizia (a firma di uno dei suoi editorialisti Danilo Taino) che ammette che lo “spirito e le generosità di Marlene Engelhorn sono indiscutibili. Tra l’altro si tratta di una eredità che arriva dalla lunga storia della Basf, gruppo chimico tedesco che, parte della conglomerata Ig Farben, negli anni Trenta affiancò il nazismo (come del resto tutti i grandi imprenditori e proprietari agrari delle grandi aziende italiane affiancarono il fascismo, mia nota) e, più o meno consapevolmente, facilitò i suoi orrori”.
A Taino non piace molto questa lotta che stanno facendo (insieme a Marlene) anche molte associazioni e, incredibile a dirsi, anche 250 milionari (tra cui tre italiani) che hanno firmato un manifesto in cui chiedono ai Governi di aumentare le imposte sulle eredità dei ricchi e anche quelle sui redditi individuali (Irpef) che sono scese (per es. in Italia nell’aliquota massima) dal 72% degli anni settanta al 43% di oggi (mentre quella sui redditi societari -Irpeg- è scesa dal 37% al 33% nel 2004, 27,5% nel 2008 e 24% nel 2017).
Anche negli Stati Uniti negli anni ’50 l’imposta sul reddito raggiungeva il 90% dopo i 400mila dollari all’anno e fece dire al miliardario Walt Disney che senza queste alte imposte sui ricchi non ci sarebbero stati aiuti ai poveri e per gente come lui che ne beneficò diventando a sua volta miliardario.
Le disuguaglianze nel mondo e all’interno dei singoli Stati sono diventate oggi così assurde che sono gli stessi miliardari (una parte almeno) a riconoscerne l’irragionevolezza, consapevoli che vivere in una società di tal fatta porta a crescenti criminalità, povertà, sofferenze, ingiustizie, rivolte, a frammentare il tessuto sociale e relazionale di cui tutti beneficiamo se si vive in una società più giusta.
La teoria neoliberista di Friedman che più si dà ai ricchi, più vantaggi arrivano ai poveri e agli altri è stata del tutto smentita dalla storia, come mostrano i gloriosi 30 anni del secondo dopoguerra, gli unici dove c’è stata sia uguaglianza che prosperità diffusa, mentre quando si è fatto il contrario è finita la prosperità diffusa.
Danilo Taino conclude il suo articolo sulla nipote della Basf con una puntina velenosa che dice: “…si tratta di stabilire se rendere meno ricchi i ricchi riduca la povertà oppure renda i poveri più poveri”. Il paradosso è che Il Corriere della Sera ha un inserto di “buone notizie”, ma questa non è forse una buona notizia? Viene il sospetto che Taino voglia far piacere al Direttore e agli Azionisti, ma sa bene che rendendo meno ricchi i ricchi, peraltro per una piccola quota, si possono dare più soldi ai poveri e, come spiega l’esperimento fatto in Kenya, dopo 5 anni di reddito universale dato a 80 villaggi poveri, nel 20% dei casi hanno migliorato nettamente le proprie condizioni a differenza del campione di controllo che non li ha avuti. Ed è sulla base di questi studi sul campo contro la povertà che Abhijit Vinayak Banerjee ha ricevuto il premio Nobel nel 2018. Lo ha scritto, sempre su Il Corriere, una settimana fa un suo collega.