di Pelto Pekka e Pin. Pubblicato in Sbilanciamoci del 2 febbraio 2024.
Chi avrà diritto a una pensione tra una settantina d’anni? E chi le pagherà? Previsioni semiserie per tre scenari fantaeconomici, maledettamente ipotizzabili sulla base dei dati disponibili oggi e delle stupide tendenze in atto.
“Avremo mai una pensione?”, ci chiedevamo negli anni Novanta del secolo scorso, spaventati da una serie di riforme a raffica, varate prima da tecnocrati liberisti (di sinistra), poi da una destra che proprio sulle pensioni ha sperimentato la deriva populista. Ambedue decisi a ribaltare un sistema previdenziale considerato insostenibile per le troppe promesse elargite nel passato, per i troppi baby boomers ormai canuti, per i pochi nuovi nati, che hanno permesso all’Italia di essere la più fedele interprete della politica della Cina maoista del figlio unico.
Sulle pensioni si è fatto di tutto, si sono aumentati i contributi, ridotte le pensioni, aumentata drasticamente l’età di pensionamento. Ci si è fatti scrivere intimazioni dall’Europa, si è creato panico sovvertendo diritti acquisiti e scelte programmate, a volte si è fatto il gioco delle tre carte, come nel caso di fondi pensione e del Tfr.
Ma il problema non può dirsi risolto, perché le stesse riforme pensionistiche (assieme alla completa mancanza di una qualche politica industriale) hanno contribuito a zavorrare ulteriormente l’economia italiana, chiudendo gli accessi ai giovani e bloccando l’innovazione, riproponendo un modello di sviluppo che, alla fin fine, è sempre incentrato sulla disponibilità di lavoro non qualificato a basso costo.
Infatti, anche se non cresce più di tanto la spesa pensionistica, se non cresce o, addirittura, si riduce il Pil, come spesso avvenuto nell’ultimo quindicennio, il rapporto fra spesa pensionistica e Pil, l’indicatore cui tutti guardano, non cala, anzi può aumentare, e non di poco.
Così, malgrado tutto, lo spettro del crack dei sistemi pubblici è sempre incombente, mentre le prospettive pensionistiche dei più giovani sono disarmanti, a causa della precarietà e dei bassi salari.
D’altra parte, le diseguaglianze economiche già sono aumentate drasticamente ed alimenteranno l’accentuarsi delle diseguaglianze pensionistiche, di genere e di classe. Da una parte i poveri, i precari, chi non avrà una continuità di lavoro perché magari ha dovuto farsi carico di familiari, destinati a godere di un mero minimo di sopravvivenza; dall’altra coloro che, per tipologia di impiego o ricchezza familiare, potranno garantirsi prestazioni pensionistiche pubbliche e private di livello.
Che succederà nei prossimi anni? Le pensioni pubbliche saranno cancellate, come è successo nella storia con i dinosauri? Sono domande buone per la futurologia, scienza non riconosciuta a livello accademico, ma prospera in diversi think tank. Noi, che non abbiamo una cattedra in questa disciplina e al più usiamo i tarocchi per predire amori e salute, abbiamo provato a disegnare tre scenari per l’Italia, con un approccio semiserio a un problema serissimo.