di Paolo Pombeni. Editoriale pubblicato in Il Mulino del 7 febbraio 2024.
Le parole con cui la presidente Meloni dichiara finita l’era dell’“amichettismo” e annuncia l’aprirsi dell’età del merito hanno suscitato, come sempre accade con le trovate provocatorie, una pronta ondata di critiche, per poi finire più o meno nel dimenticatoio.
Peccato, perché poteva essere una buona occasione per riflettere su un problema serio che affligge, e non da oggi, la nostra vita pubblica. La premier se l’è presa con ciò che considera una cattiva abitudine dei governi che hanno preceduto il suo: il vezzo di nominare nei posti che contano gli “amichetti” del decisore facendo valere la tessera conforme che hanno in tasca, perché è ora di far spazio al merito.
Banale la reazione degli accusati: negare di averlo fatto (con ben poca credibilità), sostenere che anzi essi si sono sempre fatti guidare dalla scelta in base al merito e, soprattutto, mostrare, senza alcuna fatica, che quanto a nominare amichetti il governo in carica non sarebbe secondo a nessuno.
Per orientarsi in questo campo sarebbe necessario analizzare nei dettagli l’argomento di cui vorremmo parlare. Infatti nelle designazioni che competono a chi esercita un qualche tipo di potere si dovrebbero distinguere tre tipologie.
La prima riguarda le posizioni fiduciarie, dove è ipocrita immaginare scelte che non rispondano al criterio della affidabilità: nessuno sceglie come segretario, cameriere, braccio destro o sinistro che sia, qualcuno di cui non ritenga di potersi “fidare”. Se sceglie semplicemente basandosi sulla fedeltà e magari sull’adulazione o sul servilismo, prima o poi finirà travolto dalle sue stesse scelte.
In questi casi il profilo dei collaboratori che il leader sceglie consente di giudicare il leader stesso, cioè aiuta a distinguere le autentiche personalità politiche dagli avventurieri e dai dilettanti. Vale per tutte le personalità al di là delle singole collocazioni ideologiche: in tutte le sfumature dell’arco politico si trovano persone di un tipo e dell’altro.
La seconda tipologia riguarda ciò che si dovrebbe chiamare, risuscitando una vecchia categoria storica, “nepotismo”. Consiste nel destinare a posizioni “redditizie” propri congiunti o soggetti con cui si ha un qualche genere di legame affettivo, anche in senso lato. In questi casi al prescelto non vengono affidati compiti di qualche rilievo, non potrà fare azioni veramente significative, sarà semplicemente messo in condizione di fruire di un reddito, più o meno significativo, senza grande fatica.
Questo meccanismo funziona se i beneficati non si fanno troppo notare e se il designatore è abile nel mescolare nomine nepotiste con altre guidate dalla scelta di competenze, in modo che il sistema possa sopportare senza grandi costi i “favori” elargiti.
Veniamo così alla terza tipologia, quella che dovrebbe maggiormente interessare chi ha a cuore la tenuta in equilibrio di un sistema. Si tratta di quelle figure che genericamente potremmo definire alti gradi dell’amministrazione e dei servizi per le quali spesso usiamo, e non è un caso, definizioni prese da altre lingue come grand commis oppure civil servant: personalità che si sentono al servizio del sistema nel suo complesso, vorremmo dire della “costituzione materiale” che regge una comunità politica. Ciò pone ovviamente una questione ulteriore, vale a dire il dovere per quest’ultimo di tenersi fuori dall’agone della competizione politica.
Tutto il quadro che abbiamo cercato di descrivere pone un problema cruciale in tutti i tempi, ma specialmente in quelli di transizione come è il nostro: se non si riesce a costruire un contesto di moralità pubblica e di valutazione dei ruoli nodali nella gestione del sistema politico e sociale ci si priva delle articolazioni funzionali necessarie per affrontare le esigenze a cui deve rispondere una comunità di destino. È qualcosa che va costruito collettivamente da una opinione pubblica responsabile, sottraendolo alle diatribe della politica politicante che tutto sommato non ha grande interesse al riequilibrio del nostro sistema, visto che nei suoi squilibri molti hanno fatto il loro nido.
Denunciare l’amichettismo, ovviamente sempre quello degli altri, e invocare il riconoscimento del merito nella presunzione che tanto potrà farlo a sua discrezione chi denuncia, non serve a molto. È un falso problema che serve a distrarci da quelli veri.
sintesi di Alessandro Bruni
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