di Francesco Cundari. Pubblicato in Linkiesta del 14 febbraio 2024.
Il gran ritorno della parola «genocidio» al centro del discorso pubblico ha uno strano sapore di rivalsa, per mille e spesso contraddittorie ragioni, come contraddittori e male intonati sono i piani, i protagonisti e i palcoscenici su cui si svolge il dibattito: dalle macerie di Gaza al Festival di Sanremo, passando per l’Ucraina in guerra, Biden e Trump, Zelensky e Zia Mara. Ed è difficile sfuggire alla sensazione che la caratteristica decisiva della nostra epoca sia proprio questo guazzabuglio.
Un guazzabuglio in cui le polemiche sollevate dall’appello di Ghali a fermare il «genocidio», dalla replica dell’amministratore delegato della Rai declamata in diretta da Mara Venier e dall’intervista del cantante non pubblicata da Repubblica finiscono per apparire come una continuazione con gli stessi mezzi dello scontro tra Geolier e sala stampa, filo-partenopei e filo-ztl, élite e pop (rap, trap, tric e trac o come lo volete chiamare).
In questo contesto, parlare di qualcosa di enorme come un genocidio, prima ancora che giusto o sbagliato, è impossibile e assurdo, come un appello al cessate il fuoco pronunciato con degli orsetti appiccicati alla giacca.
Da un lato non si può non avvertire un sapore di rivalsa nell’uso e nell’abuso del termine «genocidio» rivolto contro gli ebrei, che implica logicamente la totale rimozione dei milleduecento morti del 7 ottobre e dei centotrentaquattro ostaggi ancora nelle mani di Hamas, ridotti evidentemente a puro pretesto, o comunque a dettaglio insignificante dinanzi alla reazione di Israele; dall’altro si può dire altrettanto di chi, sulla base di questo stesso ragionamento, sembra disposto a giustificare, se non addirittura ad approvare entusiasticamente, qualunque massacro Israele decida di compiere a Gaza.
Viviamo circondati da immani tragedie, che mezzi di comunicazione e social network ci mettono davanti in tempo reale in una misura, con un’intensità e un’illusione di prossimità mai conosciute prima. La domanda che resta aperta è se sia ancora possibile dire qualcosa di sensato nell’epoca della par condicio dei genocidi, e a cosa mai possa servire.
sintesi di Alessandro Bruni
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