di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La campagna elettorale per le elezioni europee dei singoli partiti è iniziata con l’attenzione tutta rivolta alla necessità di mantenere e aumentare i consensi. Il sistema elettorale proporzionale, in vigore nell’Ue, sta creando apprensioni e spinge i diversi leader verso la possibilità di multi-candidature nei diversi collegi, aumentando la già scarsa attenzione sui problemi dell’Unione Europea che sono la vera posta in gioco delle elezioni.
Nel centrodestra Giorgia Meloni ha deciso di candidarsi per FdI in tutti i collegi, ritardando l’annuncio per non turbare troppo gli alleati. Una decisione comprensibile per la sua indubbia capacità di attrarre consensi, a fronte di una classe dirigente di FdI inadeguata, e in linea con la sua posizione decisamente critica nei confronti dell’Ue. Altrettanto sta pensando di fare Tajani con FI, mentre Salvini ha deciso, da tempo, di non candidarsi per la Lega.
Nel centrosinistra, Elly Schlein, nonostante diffusi pareri contrari nel PD, sembra determinata a candidarsi, quanto meno in alcuni collegi, mentre il M5S, allo stato, pensa di predisporre le liste coinvolgendo tra i maggiori esponenti del movimento. Nel complesso, diversi leader di partito italiani, candidandosi per conquistare più voti, senza poi andare a Bruxelles, dimostrano di considerare l’Ue come una trasferta, una sorta di seconda linea dell’impegno politico, di minore rilevanza rispetto all’impegno nazionale. Un grave errore perché l’Europa, come è stata pensata e realizzata fino ad oggi, rappresenta, pur con i limiti e le contraddizioni della sua incompiutezza, l’unica istituzione idonea a contribuire a governare i crescenti problemi geopolitici e a consentire un futuro protagonista degli Stati membri, in questa fase di necessaria ricostruzione di un nuovo equilibrio globale.
Di fronte ai cambiamenti e ai conflitti di questo mondo sregolato, l’Europa si presenta tuttavia in ritardo rispetto al ruolo che la situazione geopolitica richiede, al punto che, per farvi fronte, si profila una vera e propria sua nuova fase costituente. In particolare, risulta indispensabile superare la regola dell’unanimità degli Stati nelle decisioni, per determinare una accelerazione su alcune scelte strategiche fondamentali come la ridefinizione degli equilibri istituzionali, l’allargamento progressivo a 35 Stati membri, la politica estera e di sicurezza comune, la lotta sul clima, le transizioni verde e digitale, il fisco, i migranti, oltre alla definitiva approvazione dei trattati del Patto di stabilità e del Mes.
Nella realtà, in queste elezioni si gioca la possibilità o meno di fare un ulteriore passo decisivo verso la costruzione di un’Europa federale, così come l’anno pensata e avviata i padri fondatori. Questa prospettiva viene però messa in discussione dal tentativo di utilizzare il voto per modificare l’attuale maggioranza Ursula che governa l’Europa, formata da popolari, socialisti e liberali, per spostarla a destra rimettendo in discussione l’intero progetto europeo. Attualmente in Ue, il centrodestra risulta in maggioranza in 9 Paesi, compresa l’Italia, su 27, ma si spera, cavalcando l’onda di destra presente in Europa e nel mondo, di poter raggiungere la maggioranza o, quantomeno, ridimensionare quella attuale per condizionarla.
Pur con una posta il gioco così rilevante, nel nostro Paese esiste il pericolo che la linea storica dell’Italia, Paese fondatore dell’Ue, non sia sostenuta, con adeguata convinzione, da nessuno dei maggiori partiti in lizza. Non la sostiene certamente il centrodestra perché Meloni e Salvini, e i rispettivi partiti, sostengono la linea contraria, né lo fa Forza Italia che dal punto di vista politico non riesce ad andare oltre la foglia di fico della sua adesione al Ppe.
Nel centrosinistra non la sostiene il M5S, che, con il suo rinnovato populismo, aumenta i motivi di dissenso strategico con l’Ue. Resta il Pd che finora ha sostenuto la linea dell’Ue senza particolare entusiasmo, come una sorta di consenso obbligato, al quale aderire per necessità. Un limite serio perché, ripetiamo, l’Europa è l’unica possibilità di protagonismo globale del nostro Paese e di soluzione dei problemi che i singoli Stati non sono in grado di affrontare. Inoltre, per il Pd, partito all’opposizione, dovrebbe contare particolarmente il fatto che, la linea europea del governo Meloni rappresenta una inedita anomalia, contraria alla politica europea di tutti i governi dell’Italia repubblicana, ai sensi dell’articolo 11 della Costituzione.
Basterebbe osservare, come esempio recente, a cosa si è ridotto il Piano Mattei senza l’Europa (nonostante la presenza occasionale di Von der Leyen): una scatola vuota, di pura propaganda, guardata con diffidenza dagli stessi Stati africani. Quindi, per il Pd queste elezioni europee, tendenzialmente orientate verso una faticosa e incerta scommessa per mantenere, e forse un po’ aumentare, l’attuale consenso, possono diventare una rilevante occasione per precisare una parte essenziale della sua identità politica, e dar vita a una battaglia capace di favorire una svolta all’attuale politica europea dell’Italia.
Quest’ultima possibilità richiede però, a mio parere, alcune precise condizioni. Assumere le elezioni europee in tutta la loro valenza politica, predisponendo un programma convintamente pro-Europa federale per accelerare le scelte strategiche necessarie. Evitare candidature di pura cattura del consenso senza partecipazione al Parlamento europeo, per coerenza con la rilevanza politica del voto.
Condurre una battaglia elettorale di attacco per l’attuazione del proprio programma e contro la linea antieuropea e antiitaliana del governo di destra che si presenta a Bruxelles come amico e sodale di Orban, di Le Pen, della Vux spagnola e dell’Afd tedesca, cioè dei principali nemici dell’Europa. In tal modo il Pd renderebbe visibile una alternativa concreta alla destra in quest’ambito essenziale dell’azione politica di governo. Spero che esso avverta tutta la rilevanza di questo appuntamento e non perda questa irripetibile occasione.