di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Gli agricoltori hanno molte ragioni per cui protestano, ma anche sbagliate e, purtroppo, pare che Governi e Unione Europea, abbiano acconsentito a rispondere a quelle sbagliate.
Gli agricoltori sono divisi in tante componenti, ma in particolare tra piccoli che coltivano bene, biologico o con un minimo di pesticidi e le grandi imprese che coltivano in modo “industriale” facendo largo uso dell’agro-chimica. Per tutti ma in particolare per i piccoli, il vero problema è che i loro prodotti sono pagati dalla GDO (grande distribuzione) o dai grossisti troppo poco in rapporto al prezzo al cliente finale che fa la GDO. Per esempio il radicchio rosso lungo al mercatino agricolo del paese (se vivi in un paese) costava a fine ottobre 2023 1,48 euro al kg., se invece lo acquistavi al supermercato (Grande Distribuzione Organizzata, GDO) 2,49 euro (se era della specie “rosso tondo Leonardo”); se era invece quello “rosso lungo” 2,99 euro. Se è poi un prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta) venduto presso un punto della GDO il suo prezzo saliva a 3,49 euro. E non stiamo parlando di prodotti biologici, che costano di più. All’agricoltore vanno 0,50 euro se “rosso lungo” e 0,53 se “rosso tondo Leonardo”. All’agricoltore va, quindi, solo il 15% del prezzo finale al supermercato (se acquisti un prodotto IGP) e il 17,7%. E così è quasi per tutto.
Ora facciamo l’ipotesi che all’agricoltore andassero solo 7 cent in più, cioè che prendesse 0,60 euro al Kg. Per il coltivatore sarebbe un aumento significativo (+13,2%), mentre per il consumatore sarebbe un aumento irrisorio (+2,3%). Ma si potrebbe anche pensare che con una più equa distribuzione la GDO mantiene lo stesso prezzo finale per il consumatore e retribuisce meglio l’agricoltore, riconoscendogli non il 17,7% del prezzo finale di vendita al consumatore, ma il 20,1%, che è sempre poco, ma consentirebbe all’agricoltura di fare un grande passo in avanti in termini di sicurezza (sua e del territorio) e di sviluppo.
Quindi il primo e principale problema in agricoltura è una remunerazione maggiore degli agricoltori che danno il prodotto che finisce al cliente. Vale anche per gli allevamenti che negli ultimi decenni hanno assunto una dimensione “horror” con la crescita di quelli intensivi in cui non c’è alcun rispetto per il benessere animale, c’è un’enorme quantità di antibiotici mescolata al mangime e mucche, maiali, polli, etc. sono stati selezionate in modo tale che per produrre di più è stata ridotta la longevità. Per esempio le mucche producono più latte ma vivono meno (4,7 anni) e non riescono più a partorire un secondo vitellino, per cui ciò ha compromesso lo stesso allevamento. Come saranno considerati in futuro questi metodi di selezione delle razze che vanno avanti da 50 anni?
Ma ci sono anche allevamenti biologici e biodinamici rispettosi del benessere animale, dove gli animali non sono costretti in spazi angusti, le mucche vanno al pascolo e non si usano farmaci (antibiotici, anabolizzanti e così via).
Un altro punto critico dei temi della protesta è l’accordo con i 4 paesi del sud America (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay –Mercosur-) che, con la scusa del libero scambio, apre le porte in Europa a prodotti che costano meno ma sono contaminati da fitofarmaci che vengono esportati dalle nostre multinazionali dell’agro-chimica in quanto non sono più commercializzabili in Europa perché da noi vietati.
Ci sono poi richieste (da parte di alcuni, non tutti) di non ridurre l’uso dei pesticidi, che la Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo (modificando la proposta meno restrittiva della Commissione UE) prevedeva del 30% entro il 2035. Altri chiedono di mantenere gli sconti al gasolio agricolo (che produce gas serra) e altri ancora di mantenere il sostegno ai redditi agricoli, eliminati (questi ultimi) dal Governo Meloni che ora (pare) vuole ripristinare per le piccole imprese (max 10mila euro di reddito annuo). Il 4% dei campi non coltivati è per dare possibilità al terreno di non esaurirsi come fertilità ed avere siepi e alberi come nell’agricoltura biologica-biodinamica dove il 10% non è coltivato e quindi avere anche un paesaggio fatto di bellezza e non senza alberi come nell’agricoltura industriale.
Nulla si dice dei prezzi nella filiera o di come dirottare parte degli aiuti della PAC e PNRR ai piccoli contadini anziché sempre alle grandi imprese. Le uniche aperture riguardano invece gli aiuti al gasolio e ai pesticidi che vanno contro ogni buona agricoltura che inquinano le falde acquifere, riducono la fertilità dei suoli, fanno sparire le api, danneggiano la salute umana, la biodiversità e gli animali. L’orientamento è quindi di favorire la parte peggiore dell’agricoltura (grandi imprese, chi coltiva industrialmente, pesticidi, gasolio, allevamenti intensivi) e mettere in crisi ulteriormente i piccoli contadini che bene coltivano rispettando la Terra e gli Animali e in modo bio. Del resto il glifosato (diserbante cancerogeno) è stato prorogato dall’Unione Europea per altri 10 anni e non c’è tra le richieste dei “trattori”, come nessuno Governo parla di rivedere i prezzi nella filiera agricola che dai campi arriva alla GDO, imponendo per esempio sull’etichetta il prezzo che viene pagato all’agricoltore. L’idea infine che Coldiretti stia dalla parte dei piccoli agricoltori è un’idea da tempo tramontata se si pensa che ad essa aderiscono le più grandi imprese agricole tra cui BF (Bonifiche Ferraresi) quotata in borsa.
Chi protesta sta di fatto denunciando il fallimento di un modello agricolo che è in realtà agro-industriale, un sistema che non regge in quanto basato su produzioni intensive senza alcun controllo della filiera e dei prezzi, in balia della grande distribuzione (GDO) nel caso dei prodotti destinati al consumo umano o dell’industria mangimistica, per quei prodotti come il mais che ormai non vengono più prodotti per l’uomo, ma per diventare il cibo insostenibile del nostro cibo, cercando quindi di massimizzare la resa per ettaro a discapito della qualità ambientale, del lavoro agricolo e, anche a fronte della scarsità idrica che riguarda in particolare la Pianura Padana, sarebbe opportuno modificare il tipo di colture.
Una delle possibili soluzioni è scendere dai trattori da 200mila euro, dall’idea di un uso intensivo e dei pesticidi per tornare a un’agricoltura contadina, dove si produce cibo buono, nel rispetto della Terra e degli Animali e dove solo a chi fa questo importante lavoro viene riconosciuto un prezzo equo. Viceversa, come nella rivolta dei “forconi” del 2012, facendo una gran “confusione di tutto”, il rischio è che le buone ragioni dei molti piccoli agricoltori siano seppellite per difendere ancora le grandi imprese, un’agricoltura sbagliata e inquinante che riceve l’80% dei fondi della PAC e PNRR, anche se rappresenta solo il 20% delle aziende agricole.