di Marco Cattaneo. L'editoriale del n.270 di Mind, in edicola il 23 gennaio 2024.
«Smettere di fumare è la cosa più facile del mondo. Lo so perché l’ho fatto migliaia di volte». Mark Twain la prendeva con ironia, insomma. A differenza del tormentato protagonista dell’ultimo romanzo di Italo Svevo, quello Zeno Cosini che non solo prova a smettere senza successo migliaia di volte, ma ritualizza il fallimento annotando ogni volta la data – accompagnata dalla sigla u.s., ultima sigaretta – su diari, libri, agende, pareti. La dimensione eroica del gesto gli procurava un estremo piacere. E d’altra parte per Oscar Wilde fumare una sigaretta era «il prototipo perfetto di un perfetto piacere. È squisita e lascia insoddisfatti. Che cosa si può volere di più?».
Chiunque fumi, e abbia provato a smettere, conosce bene la frustrazione di quel fallimento. E quel piacere perfetto, che deriva dall’azione della nicotina sul sistema cerebrale della ricompensa, lo stesso piacere che provoca la dipendenza e l’estrema difficoltà di abbandonare il «vizio» della sigaretta. In assenza di qualche tipo di supporto, come la somministrazione di nicotina attraverso gomme da masticare, cerotti o in altra forma, «più di nove tentativi di smettere su dieci – scrive Anton Benz a pagina 74 – finiscono con una ricaduta». Smettere non è soltanto una questione di volontà, perché a rendere dipendenti è un meccanismo di natura fisiologica. Chi è davvero determinato, perciò, farebbe bene a cercare un supporto, e ad agire secondo un piano che può contemplare una terapia con sostituti della nicotina in combinazione con interventi comportamentali.
Non di rado chi cerca di perdere peso incorre in una frustrazione analoga a quella del fumatore pentito. Una moltitudine di persone obese o sovrappeso si sottopone a diete ferree per mesi, magari per anni, e inizia a praticare attività fisica con risultati spesso soddisfacenti. Ma non appena si inizia a uscire dal regime ferreo che si era adottato i chili cominciano a risalire, e si passa «attraverso cicli di dimagrimento/ingrassamento che minano la salute, la motivazione e lo stato psichico», scrive Federica Sgorbissa a pagina 44.
Oggi però per chi soffre di obesità potrebbe essere arrivata una soluzione inattesa ed efficace, al punto da indurre la prestigiosa rivista «Science» a nominare Breakthrough of the Year, scoperta dell’anno, la semaglutide, una molecola sviluppata in origine come terapia per il diabete e che di recente è stata adottata per il trattamento cronico dell’obesità. I meccanismi biologici d’azione del farmaco non sono ancora del tutto chiari, ma le persone, spiega Gianleone Di Sacco, dell’ospedale Sant’Anna di Como, «dimagriscono perché adottano quasi spontaneamente abitudini alimentari più sane». Anche in questo caso, tuttavia, volontà e terapia farmacologica potrebbero non bastare, e richiedere un’assistenza psicologica. Il nostro sistema mente-corpo è una macchina meravigliosa. E complessa.