di Daniele Rocchetti. Pubblicato in La barca e il mare del 14 marzo 2024.
La Chiesa cattolica rischia di diventare una Chiesa fuori del tempo. E invece dovrebbe essere una Chiesa di fratelli e sorelle, dentro questo mondo.
“Sì, la Chiesa ha da secoli un problema con le donne, come in generale gli altri due monoteismi e forse la maggior parte delle religioni. Ma non vale come scusa; sarebbe stato così bello e legittimo se fosse stato diverso per il cristianesimo fin dalle origini! Tranne qualche felice eccezione recente, le donne sono assenti dal governo e dal commento della Parola di Dio durante la celebrazione domenicale, mentre altrove sono presenti ovunque. Sono la “carne” delle parrocchie, e spesso l’anima di quelle chiese domestiche che sono le famiglie, e sono sempre loro, il più delle volte, ad occuparsi del catechismo.”
“Nella nostra rappresentazione, la Chiesa è per definizione atemporale, una Chiesa patriarcale al di fuori delle correnti, delle mode e degli oltraggi del tempo. Tuttavia, in assenza di un maggiore coinvolgimento delle donne in ruoli di responsabilità e di visibilità, la nostra Chiesa paradossalmente corre il rischio di diventare una Chiesa obsoleta, non atemporale ma anacronistica e superata nella sua organizzazione. La Chiesa cattolica, ossia universale, se non è del mondo, è comunque inscritta nel mondo e non può rifugiarsi in una logica di nicchia auto referenziata rispetto al mondo. La questione delle responsabilità dei laici, e quindi anche delle donne, è stata ampiamente sollevata durante le consultazioni che hanno preceduto il sinodo: oggi il problema salta agli occhi.”
"Nella nostra Chiesa cattolica, le decisioni sono prese dal vescovo che le incarna. Il modello può indubbiamente evolversi. A tale riguardo, i modelli di governo nella vita religiosa possono essere ispiratori: molte decisioni vengono prese da capitoli o da consigli eletti e le limitazioni al potere decisionale dei superiori nulla tolgono al loro potere simbolico. Detto ciò, mi sembra che nella maggior parte dei casi, la fiducia che nasce dalla conoscenza reciproca e dal perseguimento di un progetto comune fa sì che la maggior parte delle decisioni siano prese con ampio consenso quando non all’unanimità. E in ogni caso, le opinioni di ognuno e di ognuna sono state ascoltate e hanno influito, in un modo o nell’altro, sulla decisione finale. Credo che sia un’esperienza forte per ognuno e ognuna, me compreso!”.
I nostri fratelli e sorelle delle Chiese protestanti hanno nel sangue questa cultura democratica, ossia sinodale, e abbiamo senza dubbio molto da imparare da loro in questo grande movimento di sinodalità nello stile cattolico iniziato dal Santo Padre. La dinamica sinodale non si fermerà, si estenderà e si diffonderà a tutti i livelli della Chiesa senza tuttavia rimettere in discussione la sua struttura sacramentale. Ogni passo indietro apparirà subito totalmente anacronistico perché la Chiesa riguarda tutti i battezzati.
Anche di fronte alla questione discussa e complessa del diaconato femminile l’arcivescovo di Algeri non si sottrae: “A titolo personale, lo auspico vivamente! Mi sembra impossibile privare i fedeli, e quindi anche me stesso, della ricezione femminile della Parola di Dio. Nessuno degli argomenti addotti mi ha mai convinto. Quindi sì, mi piacerebbe che la questione del diaconato femminile avanzasse o che almeno si compisse un passo in più verso l’autorizzazione per le donne e, più in generale, per i laici formati, a commentare la Parola di Dio nell’ambito della celebrazione domenicale. A differenza del ministero presbiterale, il diaconato femminile ha radici nella tradizione della Chiesa e fatico a capire le obiezioni che possono essere sollevate, tranne che riservare il presbiterio, ossia l’esercizio del sacro, al maschile.
"La vocazione femminile vale di per sé. Questa dimensione di alterità è attualmente molto presente nella vita coniugale. I compiti sono condivisi, tutte e due i genitori possono lavorare, occuparsi dei figli… Ognuno li svolge nella sua diversità di sesso, di carattere… Sono gli stessi compiti svolti in modo diverso. Questo vale per tutti gli ambiti della società. Come si può pensare che non possa esserci un’eco di questa evoluzione sociale in seno alla Chiesa nel modo in cui vengono esercitati i carismi e i ministeri, nel rispetto della tradizione, che non è un corpo morto ma un corpo vivo, allo stesso tempo immobile e sempre in movimento.”
Più che una lotta di potere, il necessario riequilibrio tra chierici e laici, tra uomini e donne, è una questione di alterità e di fratellanza. Se mi piace essere chiamato fratello, piuttosto che padre o monsignore, non è per falsa modestia o vanità, ma è proprio per questa questione di alterità, che non deriva da una scelta, bensì da un dato di fatto: ho bisogno dei fratelli e delle sorelle della mia diocesi, come avevo bisogno dei miei fratelli domenicani per essere ciò che sono per loro.”
sintesi di Alessandro Bruni
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