di Roberto Righetto. Pubblicato in Avvenire del 9 marzo 2024.
Molta morale, poca comunità, zero cultura»: è questa la sintesi dell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi su Avvenire dal teologo Pierangelo Sequeri. Un intervento lucidissimo che dovrebbe aprire un dibattito sulla scarsa attenzione verso la cultura da parte della Chiesa.
Eppure la necessità di una presenza, senza pensare a formule ormai superate o a schieramenti monolitici, è stata rimarcata anche dal cardinale Zuppi in una recente intervista a Civiltà cattolica. Il presidente della Cei ha rilevato come, nonostante «certe pregiudiziali negative», in generale vi sia «una buona disponibiltà al confronto e al dialogo da parte di molti». Ed è certamente vero: si pensi ai passi avanti compiuti negli ultimi decenni per quanto riguarda il dialogo fra credenti e non credenti. Ma Zuppi ha anche onestamente ammesso come oggi l’apporto dei cattolici al mondo della cultura, per quanto «prezioso», faccia «molta fatica a trovare delle modalità espressive», anche a causa di «una certa timidezza davanti ad atteggiamenti a volte aggressivi di una certa cultura dominante». E infine ha invitato a mettere in campo «quella fantasia creativa che sa superare muri e steccati».
Parole che dovrebbero sollecitare i cattolici italiani, e quelli impegnati nel mondo della cultura in particolare, a farsi protagonisti di una forte azione per combattere il grave analfabetismo religioso della nostra epoca. Non ci si può però accontentare di richiamare la secolarizzazione, o quella che i sociologi ormai chiamano la post-post-secolarizzazione, che ha corroso profondamente il tessuto culturale del popolo italiano, ma anche quello dei credenti e dei praticanti.
C’è l’altro punctum dolens: l’importanza della cultura. Per porsi come segno di contraddizione, come lo erano le prime comunità cristiane, oltre al discorso fondamentale della resurrezione dei corpi, occorre accettare due sfide: il primato della cultura – e la riscoperta dell’immenso patrimonio teologico del cristianesimo – e la consapevolezza che l’evangelizzazione oggi si svolge anche attraverso il bello e il buono. Da parte sua, la scrittrice Flannery O’Connor metteva in guardia da un fenomeno ancor oggi ben presente: non c’è nulla di più lontano dal cristianesimo che l’ottimismo vuoto e il sentimentalismo che affligge tanti cattolici e che nasconde il male nel mondo.
Un esempio? La paccottiglia spirituale che imperversa nelle librerie religiose, oggi come ieri, quegli opuscoli edificanti tutti basati sui buoni sentimenti che edulcorano la realtà. C’è il rischio di una “sottocultura” nel mondo cattolico, per cui si guardano solo quei film o si leggono quei libri che dicono bene del cristianesimo. Evidentemente, tanta sciatteria culturale diventa contro-testimonianza evangelica.
Che la sfida per i credenti oggi sia anche e soprattutto culturale diviene sempre più evidente dinanzi ai nuovi fondamentalismi religiosi, alle forme volgari, violente e disumane del nichilismo contemporaneo che colpisce le donne e i giovani, alle provocazioni della cancel culture, all’invasione della tecnoscienza nella vita quotidiana, allo stravolgimento del concetto di natura, ai rischi connessi all’intelligenza artificiale. Occorrerebbe perciò che la Chiesa italiana tutta si facesse promotrice di un’iniziativa di largo respiro per superare l’attuale grave stato di stagnazione della cultura cattolica. Con l’avvertenza di evitare personalismi e voci uniche soliste, ma piuttosto cercando un lavoro di rete, di comunione e di alleanze. Senza invidie, gelosie o piccinerie. Anche per far fronte alla carenza di figure pubbliche portatrici di un pensiero critico, capaci di scalfire e porre in discussione il sistema di potere economico e tecnocratico che produce nuove disuguaglianze. E questo, ahimé, vale anche in campo cristiano.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l’articolo completo aprire questo link