di Massimiano Bucchi. Pubblicato in Il Mulino del 19 marzo 2024.
“C’è una diffusa sfiducia nella scienza”. “L’Italia è un Paese antiscientifico”. Quante volte abbiamo sentito ripetere queste affermazioni da autorevoli scienziati, esponenti politici e commentatori? Simili affermazioni sono state all’ordine del giorno anche durante la crisi pandemica. Spesso la presunta sfiducia dei cittadini nei confronti della scienza è collegata, quando non attribuita, a: 1) (più tradizionalmente) un livello basso di “alfabetismo scientifico”; 2) (più recentemente) una “disinformazione” dilagante, soprattutto sui social.
Tutti i dati disponibili sul tema, raccolti dalle fonti più autorevoli a livello nazionale e internazionale, ci dicono ormai da anni la stessa cosa. I cittadini hanno grande fiducia nella scienza e negli scienziati, una fiducia che è cresciuta nel tempo (incluso il periodo pandemico) e si attesta ormai stabilmente su livelli di fiducia superiori all’80% della popolazione, rilevanti sia in termini assoluti sia relativi (ovvero: molta più fiducia nei ricercatori rispetto ad altre categorie quali politici, giornalisti e imprenditori).
In Italia, l’Osservatorio scienza tecnologia e società di Observa Science in Society analizza da oltre vent’anni il rapporto degli italiani con la scienza e la tecnologia, in generale e in relazione a temi salienti nel dibattito pubblico. Per quanto riguarda la fiducia, questa è stata approfondita nelle rilevazioni più recenti dell’Osservatorio suddividendola in quattro dimensioni: la scienza in generale, le istituzioni di ricerca, gli scienziati e gli esperti che intervengono pubblicamente. Nel complesso, la netta maggioranza degli italiani – circa nove su dieci sia nel 2022 sia nel 2023 – mostra di fidarsi in modo significativo della scienza e degli attori della ricerca scientifica.
Tanto il giudizio positivo sull’impatto della scienza quanto la fiducia nella scienza e negli scienziati sono correlati in modo chiaro soprattutto con variabili quali età e titolo di studio, ovvero i più istruiti e giovani tendono ad avere ancora più fiducia. Anche questo è un dato tanto consolidato quanto poco conosciuto. A fare la differenza negli atteggiamenti verso la scienza non è tanto, come spesso si ripete, l’iniezione di contenuti comunicativi ad hoc, ma il livello di istruzione generale.
Interessante notare come gli orientamenti più critici emergano verso gli esperti che intervengono pubblicamente in televisione o sui social (si legga a tal proposito l'intervento di Giorgio Parisi sul “Guardian”). La fiducia è, in questo caso, di poco superiore al 50%. Per circa un italiano su due, chi si occupa di questioni scientifiche dovrebbe farlo senza esporsi troppo pubblicamente. Si tratta di un tema estremamente attuale e divenuto ancora più rilevante durante la pandemia, quando numerosi ricercatori e ricercatrici sono divenuti volti familiari al grande pubblico.
Ignoranza o ideologia? Se dunque i dati sono così chiari, confermati da anni di studi nel settore della comunicazione pubblica e della percezione pubblica della scienza, come mai lo stereotipo di cittadini sfiduciati nei confronti della scienza è così diffuso e radicato perfino tra esponenti di scienze che dovrebbero per vocazione professionale basarsi sui dati e non sui pregiudizi?
La rappresentazione del pubblico come ostile, scettico e ignorante ha una funzione ideologica, funzionale a sostenere una visione paternalistica e in definitiva autoritaria della comunicazione della scienza e del rapporto tra scienza e società. Una visione, come si è visto, che non ha nulla di “scientifico” ma riflette in larga misura pregiudizi infondati.
sintesi di Alessandro Bruni
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