di Guido Viale, Pubblicato in Pressenza del 13 marzo 2024.
Finché l’alternativa è tra resa e vittoria, tra l’una e l’altra, e tra gli uni e gli altri, non esistono compromessi né mediazioni. Per cercarli – e per trovarli – bisogna cambiare orizzonte, uscire dalla logica del tutto o niente, capire e accettare che al di fuori della guerra c’è tutto un mondo possibile. Un mondo fatto dalle vite di chi combatte, da quelle di chi subisce i bombardamenti, da chi vede distrutti i risultati di anni di lavoro, da chi per via della guerra non ha più né casa, né salute, né un corpo tutto intero, né uno, alcuni o tutti i suoi cari, i suoi parenti, i suoi amici, un futuro.
Ma non è tutto: ci sono intere città e monumenti distrutti che non potranno venir ricostruiti nemmeno nel giro di una o più generazioni – lo abbiamo già visto settant’anni fa – acque e fiumi avvelenati da esplosivi, combustibili e sostanze sfuggite dai loro depositi, paesaggi devastati, campi pieni di mine nascoste, di buche scavate dalle bombe, di trincee, terrapieni e barriere di ogni genere, di rottami di veicoli e di armi distrutte e abbandonate. Campi che non potranno più essere arati, né seminati, né produrre un raccolto e un reddito per chi li coltivava, ne cibo per chi lo aspettava.
Poi, una scia di odi, tanto più forti quanto più si prolunga la guerra, tra persone che fino a ieri si consideravano connazionali, o vivevano e lavoravano fianco a fianco, o erano amici, o anche parenti, ora divisi da confini che non si potranno più attraversare e che nessuno avrebbe mai voluto.
E’ verosimilmente alla luce di queste considerazioni elementari, e di altre che qui non ricordo, che papa Francesco, unico tra i Grandi della Terra – ma anche tra molti dei tanti minuscoli che si pretendono Grandi – continua a chiedere e a ingiungere di negoziare, cioè di uscire dalla logica della guerra, dall’alternativa tra vittoria e resa. La bandiera bianca non significa resa, ma non sparate perché io non sparo. Cessiamo il fuoco!
Putin pensava di conquistare l’Ucraina con una passeggiata militare come aveva fatto Breznev con la Cecoslovacchia nel 1968. Si è dovuto ritirare in una parte delle regioni russofone che ha blindato politicamente annettendole alla Federazione Russa e, militarmente, con una barriera invalicabile per una guerra convenzionale combattuta sul campo. Biden pensava – e lo aveva anche dichiarato, per poi rimangiarselo – che l’esercito e le milizie ucraine, con il supporto della Nato, in corso peraltro da due decenni, avrebbero portato alla dissoluzione della Federazione Russa, che è un impero le cui nazioni non vedono l’ora di liberarsi dal dominio russo.
Ma in gioco c’è la libertà di un popolo, rispondono gli amici della guerra ad oltranza. E intanto lo stato di guerra sta distruggendo le libertà di chi ne godeva già poche e di chi non ne godeva per niente anche prima; ma oggi meno ancora. Perché la coscrizione obbligatori, la caccia ai renitenti e agli imboscati, il controllo dell’informazione, la chiusura di partiti e sindacati, il clima e la mobilitazione da Union sacrée non sono manifestazioni di libertà né prodromi di una libertà futura.
Soprattutto non c’è e non ci sarà libertà quando il prolungamento della guerra è imposto o sostenuto da governi che la fanno fare agli altri. E dio voglia che non decidano o si sentano costretti a farla anche loro: cioè a farla fare ai loro sudditi e ai loro elettori. Perché “Loro”, comunque, in guerra non ci vanno; e i loro figli neppure, come si è visto sia in Ucraina che in Russia.
sintesi di Alessandro Bruni
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