a cura di Alessandro Bruni. Sintesi di articoli pubblicati in Brainer tra marzo e aprile 2024.
Con il termine “demenza” si intende quel gruppo di malattie neurodegenerative dell’encefalo, tipiche dell’età avanzata, ma non esclusive degli anziani, che comportano la riduzione graduale, quasi sempre irreversibile, delle facoltà intellettive di una persona. Poiché esistono tanti tipi diversi di demenza, gli esperti in malattie neurodegenerative hanno discusso a lungo su quale potesse essere il modo migliore per classificarle. Per questo motivo, le classificazioni sono più di una e hanno sempre, come parametro di distinzione, una caratteristica generale comune quale:
- La zona dell’encefalo interessata
- La reversibilità o non reversibilità
- La dipendenza o meno da altri stati morbosi
Al di là del parametro di distinzione scelto, in linea generale, le tipologie di demenza più comuni sono le seguenti:
- Morbo di Alzheimer: forma più comune di demenza, è caratterizzata da un processo degenerativo progressivo che distrugge le cellule del cervello, causando un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive, fino a compromettere l’autonomia e le capacità di compiere le normali attività giornaliere.
- Demenza vascolare: si tratta di una forma di disturbo cognitivo, provocata da un’alterata circolazione sanguigna cerebrale e dalla conseguente morte progressiva delle cellule del cervello. Le cause possono essere diverse; la principale è la malattia dei piccoli vasi sanguigni, ma non vanno trascurate cause meno comuni come l’ictus o l’aterosclerosi.
- Demenza con corpi di Lewy: è la terza forma di demenza più diffusa dopo la Malattia di Alzheimer e la Demenza vascolare. Il nome deriva dagli aggregati proteici insolubili (Corpi di Lewy) che si formano nei neuroni dell’encefalo dei pazienti affetti da questa patologia.
- Demenza frontotemporale: è una forma di demenza che insorge a seguito di una degenerazione delle cellule nervose, situate nei lobi frontali e temporali del cervello.
I tipi di demenza meno comuni sono i seguenti:
- Demenza pugilistica: è associata a ripetuti colpi in testa e causa una sintomatologia simile a quella dell’Alzheimer, caratterizzata da cambiamenti nel comportamento, confusione e perdita della memoria.
- Demenza associata ad HIV: si tratta di un deterioramento cognitivo cronico dovuto all’infezione cerebrale da parte dell’HIV nelle sue fasi finali.
- Malattia di Huntington: è causata dalla mutazione del gene che codifica la proteina HTT. Quando è alterato, questo gene determina la produzione della proteina che provoca la morte di gruppi di neuroni del cervello.
- Degenerazione cortico-basale: è caratterizzata dalla perdita delle cellule nervose e dal restringimento (atrofia) di alcune aree cerebrali, tra cui la corteccia cerebrale e i gangli basali.
- Malattia di Creutzfeldt-Jakob: è caratterizzata dal deterioramento progressivo della funzione mentale, che porta a demenza, contrazione involontaria dei muscoli (mioclono) e barcollamento quando si cammina.
- Sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker: causa perdita di coordinazione seguita da un lento deterioramento della funzione mentale.
Poiché è sempre più diffusa, si sente spesso parlare di demenza, col rischio che si diffondano anche falsi miti. Le convinzioni senza fondamento alimentano purtroppo la disinformazione e trasformano la demenza in un argomento tabù, facendo sentire ancora di più il peso dell’isolamento e dell’alienazione a chi ne soffre. Ecco alcuni falsi miti sulla demenza:
- Una diagnosi di demenza non ha alcuna utilità perché tanto non si può guarire.
- Diminuzione o perdita di memoria vuol dire avere l’Alzheimer.
- Un membro della mia famiglia ha l’Alzheimer, quindi lo avrò di certo anche io.
- La demenza fa parte del processo normale di invecchiamento.
- Se una persona non ha problemi di memoria, non ha una demenza.
- La demenza è la malattia degli anziani.
- Alzheimer e demenza sono la stessa cosa.
La riserva cerebrale (BR) e la riserva cognitiva (CR) si rivelano fondamentali in relazione alla demenza, in quanto rappresentano i meccanismi di resilienza del cervello all’invecchiamento fisiologico e patologico. La parola “riserva” si riferisce alla capacità di mantenimento di una specifica funzione (a livello cellulare, organico o sistemico) in presenza di un danno acuto o cronico.
Sebbene possano sembrare intercambiabili, in realtà riserva cerebrale e riserva cognitiva hanno due significati differenti. La prima indica la soglia di danno oltre la quale il cervello manifesta un disturbo; la seconda invece riguarda l’efficienza con cui il cervello sopperisce al danno subito attraverso il reclutamento differenziale di reti neurali e strategie cognitive alternative.
Un’ulteriore differenza fra le due tipologie di riserva riguarda la loro stabilità durante la vita di una persona. Infatti, mentre la riserva cerebrale tende a essere costante nel tempo, la riserva cognitiva è caratterizzata da una certa dinamicità, in quanto può essere aumentata grazie alla stimolazione cognitiva continua, all’istruzione e ad attività mentalmente stimolanti. Ma perché BR e CR sono così importanti nel contesto della demenza?
Una revisione scientifica dell’argomento, pubblicata il mese scorso, ha confermato che la condizione ottimale è quella in cui sia la riserva cerebrale che la riserva cognitiva sono elevate, in modo tale che, qualora l’individuo fosse colpito da una forma di demenza, essa avrebbe una manifestazione sintomatica ritardata nel tempo oltre ad una progressione più lenta. Al contrario, una dote scarsa di entrambe le riserve potrebbe portare a un esordio precoce e a una progressione rapida della malattia neurodegenerativa.
E se si avesse un alto livello di CR ma un basso livello di BR? Si potrebbe verificare l’effetto protettivo della CR e quindi la possibilità di un ritardo nell’insorgenza della patologia, ma in seguito alla comparsa dei sintomi, a causa della limitata BR, il cervello potrebbe non essere in grado di compensare i danni a livello strutturale. La conseguenza sarebbe pertanto un rapido declino cognitivo.
Le cause della demenza non sono facili da individuare e in molti casi, a parte il fattore genetico (come nell’Alzheimer), non sono note. Tuttavia, vi sono dei fattori di rischio che aumentano l’esposizione a questa condizione patologica, tra cui lo scarso grado di socializzazione. Tale fattore si trasforma facilmente in isolamento e può avere conseguenze molto sfavorevoli, incrementando le possibilità di sviluppare una forma di demenza ma anche peggiorando i sintomi di chi già soffre di questa patologia.
Oltre a rappresentare un fattore di rischio da non sottovalutare, la solitudine agisce negativamente anche su chi già soffre di demenza. I risultati di una ricerca condotta dal gruppo di studio COVID-19 della SINdem, Associazione autonoma aderente alla Società Italiana di Neurologia per le demenze, hanno portato alla luce le conseguenze negative della quarantena, e quindi dell’isolamento, in un campione di 4.913 pazienti con un’età media di 78 anni affetti da varie forme di demenza.
Dopo soltanto un mese di lockdown si è verificato un peggioramento delle alterazioni psicologiche e comportamentali nel 60% dei casi. Tuttavia, in base ai tipi di demenza, alla gravità della stessa e al sesso dei pazienti, sono stati rilevati esiti differenti.
Con riferimento alle tipologie di demenza, si è verificato un maggior peggioramento comportamentale nei pazienti con Demenza a Corpi di Lewy (DLB) rispetto a quelli con Alzheimer. Inoltre, i sintomi predominanti sono stati:
- Ansia per la malattia di Alzheimer
- Disturbi allucinatori e del sonno per la DLB
- Wandering e disturbo dell’appetito per la demenza frontotemporale
- Per quanto riguarda la gravità della patologia, è stato riscontrato un aggravamento dei disturbi d’ansia e dell’umore prevalentemente in condizioni lievi-moderate della demenza e in soggetti di sesso femminile affetti da Alzheimer. In presenza di condizioni più gravi sono emerse anche psicosi e aggressività.
Affinché l’isolamento non rappresenti un problema, è necessario evitare che si crei questo tipo di condizione. A seconda dei casi, l’obiettivo è:
- Prevenire la demenza in soggetti sani (prevenzione primaria).
- Rallentare il decorso della demenza in soggetti che ne presentano già i sintomi (prevenzione secondaria).
- Contenere il più possibile gli effetti negativi nelle fasi più avanzate della patologia (prevenzione terziaria).
- La prevenzione può avvenire attraverso: attività ricreative, eventi di convivialità quali cene e pranzi, gruppi di sostegno, musicoterapia, e progetti vari finalizzati alla socializzazione.
Se quasi tutti sono a conoscenza dei benefici apportati dall’attività fisica per il metabolismo, l’apparato cardiocircolatorio e il sistema scheletrico e muscolare, in pochi sono al corrente dei suoi benefici per il cervello. L’attività fisica è infatti una delle più importanti forme di prevenzione contro svariate patologie, in quanto contribuisce in maniera significativa al mantenimento cognitivo. Anche passatempi quali il gioco delle carte rappresentanouno svago intramontabile, che apporta anche numerosi benefici mentali ed emotivi. Recentemente si è osservato che il gioco del ping pong può essere una attività molto utile poiché consente di sviluppare velocità di pensiero, di reazione, efficienza dei riflessi specie per l'Alzheimer e, in generale, per il trattamento delle demenze. I principali benefici che apporta sono:
- Aumento della concentrazione anche sul medio-lungo periodo
- Stimolazione delle funzioni cerebrali
- Sviluppo delle funzioni tattili e della reattività generale
- Impegno per il corpo attraverso uno sforzo aerobico
- Sviluppo della coordinazione mano/occhio
- Potenziamento della capacità decisionale immediata
- Incremento dell’interazione sociale
- Opportunità di pratica ricreativa