presentazione del libro di Alberto Vanolo “La città autistica”, Einaudi, 2024.
Che cos’è una città “autistica”? È uno spazio per immaginare e sperimentare modi diversi di intendere le diversità, incluse quelle neurologiche, anche al di là del linguaggio delle categorie, delle diagnosi e delle disabilità. Il mondo ha bisogno di città del genere: “autistico” non va inteso in senso peggiorativo e la condizione di neurodiversità può offrire molto per progettare città più vivibili e aperte. Costruire realtà urbane migliori significa anche sovvertire le categorie morali e i linguaggi comunemente associati all’autismo. Alberto Vanolo offre una serie di proposte provocatorie per la città autistica, una sorta di manifesto con principi generali per immaginare realtà urbane più semplici e sostenibili, non solo per chi vive una condizione di neurodivergenza.
Alberto Vanolo è professore di geografia politica ed economica dell’Università di Torino, dove si occupa di geografia urbana e culturale. È padre di un figlio autistico.
sintesi di Alessandro Bruni dalla prefazione del libro
Esistono molteplici connessioni fra autismo e spazio geografico. Per esempio, la vita delle persone autistiche e dei loro familiari risulta assai differente a seconda del contesto e delle sue caratteristiche sociali, politiche, culturali e ambientali. Ancora: le persone autistiche spesso percepiscono gli stimoli sensoriali in maniera peculiare, con specifiche sensibilità rispetto al rumore, luce e odori, per cui l’esperienza dello spazio urbano non è necessariamente la medesima di quelle neurotipiche, ma nemmeno la stessa per tutte le persone autistiche. Inoltre, poiché le nostre identità ed esperienze sono sempre plasmate nello spazio, le categorie morali e concettuali che utilizziamo per interpretare la realtà sono specifiche di ogni luogo. Così, la persona autistica significa e assume ruoli o aspettative sociali differenti da una parte all’altra del mondo, in uno scenario in cui le categorie e i discorsi connessi al tema sono in rapida evoluzione. E anche il nostro sguardo sull’autismo è in trasformazione, nel tempo e nello spazio, poiché le stesse definizioni mediche sono in costante evoluzione.
Il testo inquadra l’autismo in relazione al concetto di neurodiversità, espressione che si riferisce alla ricca varietà delle caratteristiche neurologiche degli esseri umani. La neurodiversità è quindi un carattere collettivo, in quanto tutte e tutti siamo in una qualche misura differenti l’uno dall’altra. Pur nella loro diversità, la maggior parte delle persone sono tuttavia caratterizzate da uno sviluppo neurologico relativamente simile, per esempio rispetto alla capacità di recepire ed elaborare gli stimoli sensoriali, e in questo senso costituiscono un gruppo chiamato “neurotipico”.
Una parte più ristretta della popolazione ha tuttavia vissuto, per i motivi più svariati e in misure altrettanto diverse, uno sviluppo neurologico differente rispetto alla media, organizzandosi in maniera atipica: si tratta di individui cosiddetti “neurodivergenti”, categoria che comprende, oltre all’autismo, una certa quantità di altre condizioni come deficit di attenzione e iperattività, dislessia, disprassia, disgrafia. Il termine ha però anche una dimensione politica, sottolineando le possibilità di sviluppare prospettive e discorsi sulla varietà neurologica al di là delle classificazioni e delle diagnosi mediche, e soprattutto prospettive tese a mettere in discussione il presupposto, spesso radicato a livello sociale, culturale e anche medico, che ciò che si allontana dalla norma sia necessariamente problematico, patologico o da correggere.
In questo senso, il movimento per la neurodiversità ha sviluppato posizioni politiche e prospettive di analisi non così distanti da quelle di alti movimenti che hanno lottato per il proprio diritto alla differenza, come nel caso delle rivendicazioni delle persone non eterosessuali e non cisgender, e quindi non statisticamente “tipiche”, spesso oggetto di discriminazione e violenza.
Mescolando simili prospettive teoriche con riflessioni sulla vita urbana e con esperienze personali, l’autore propone una riflessione sulla politica e la cultura della neurodiversità ponendo un quesito molto ampio: in che modo possiamo immaginare e progettare città autistiche? Ripensare la città in una prospettiva coerente con la vita delle persone neurodivergenti potrebbe forse offrire qualcosa per chiunque? In che modo è possibile ridefinire l’idea stessa e le prospettive sociali e culturali dell’autismo attraverso un ripensamento della vita urbana?