di Redazione di Il Punto. Intervista a Guy Standing pubblicata il 28 aprile 2024.
Oggi si celebra la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro che richiama l’attenzione sulla difesa dei diritti dei lavoratori tutti, anche dei lavoratori precari. Ne parliamo con Guy Standing, economista del lavoro, sostenitore della democrazia deliberativa e della necessità di un reddito di base. Standing è cofondatore del Basic income earth network e ideatore del decent work index.
Il precariato è una classe sociale?
È una classe di persone definita dai rapporti di produzione, cioè dal tipo di modelli di lavoro che devono sperimentare, oltre che dal modello dei loro guadagni, dai redditi bassi, dai redditi volatili e dall’essere cronicamente indebitati. Ed è una classe definita anche dalle loro relazioni con lo Stato: i precari perdono diritti sociali, economici, politici e culturali. Questi tre aspetti sono importanti per definire il precariato, in quanto le persone del precariato vivono la loro condizione in relazione ad altre classi, al passato e alla struttura della società.
Potrebbe spiegare le quattro A del precariato che descrive nel suo libro “Il precariato, la nuova classe pericolosa”?
- La prima A è il senso di alienazione. Alienazione significa che le persone sono costrette a fare cose che non vogliono fare e non possono fare cose che vorrebbero fare. Questo è un doppio svantaggio. Devono lavorare molto per un lavoro che non produce reddito; non possono sviluppare la loro vita professionale e si sentono alienati.
- La seconda A è il senso di anomia. È un concetto del sociologo Durkheim che si riferisce alla sensazione di essere svogliati, di non riuscire a fare nulla. Va di pari passo con un senso di “abjection” come si dice in inglese (perdita di dignità, ndr), un senso di essere tagliati fuori, di essere senza speranza o di non riuscire a soddisfare le proprie aspettative, e quindi di sentirsi sconfitti. Questo senso di anomia è minaccioso per la psiche di una persona ed è causa di distress mentale.
- La terza A sta per ansia. Ansia perché le persone sono insicure, si trovano ad affrontare l’incertezza. Non sanno se i loro debiti diventeranno troppo grandi. Non sanno se uno shock sta per colpirli domani, dopodomani o in futuro e rimangono sempre in ansia. Anche questa ansia è causa di distress mentale.
- La quarta A è riferita alla parola anger, cioè rabbia. È naturale provare rabbia, arrabbiarsi molto se avete di fronte a voi la plutocrazia, i multimilionari e persone che hanno una vita diversa dalla vostra, mentre voi come i vostri amici e parenti e la vostra comunità siete tutti alle prese con l’alienazione, l’anomia e l’ansia, e diventate molto arrabbiati.
Come potremmo ridurre il precariato e ripristinare la stabilità nel lavoro e per i lavoratori?
Personalmente reputo che la sicurezza del reddito sia molto più importante del lavoro in sé; ed è per questa ragione che sostengo tutti i passi per arrivare a garantire un reddito di base per tutti, così che possano perseguire una vita di sicurezza economica che potrà poi prendere strade diverse. Non bisognerebbe desiderare un impiego stabile e a lungo termine, se il lavoro di fatto è noioso o desolante.
Si discute molto della riduzione delle ore lavorative settimanali come parte della soluzione del precariato...
La riduzione delle ore settimanali non è la vera soluzione: ridurre il tempo di lavoro per il proletariato è in realtà la risposta sbagliata a una domanda sbagliata posta nel 21esimo secolo. Questa domanda era adatta per il proletariato industriale cent’anni fa, allora sarebbe stata una buona politica, ma oggi è una distrazione da cose più importanti. Oggi viviamo l’era dell’incertezza cronica.
Un altro tema chiave è quello dell’impatto – nel breve e medio termine – degli strumenti basati sull’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Quali interventi politici sarebbero più efficaci nel gestire questa trasformazione?
Prima di tutto, penso che l’intelligenza artificiale, e in particolare i nuovi sviluppi legati alla singolarità e ai sistemi di grandi dati come ChatGPT, rappresentino una minaccia alla nostra libertà. E a questo proposito accolgo favorevolmente molte delle questioni di cui si sta discutendo. Mi piacerebbe vedere molti lavori noiosi automatizzati. Non dovremmo volere molti di quei lavori: lavorare in un magazzino Amazon, correre a fare azioni stupide che non sono adatte all’essere umano. Penso che questo dovrebbe essere accolto.
Lei ha scritto che “the primary antagonist of the traditional proletarian was the master. The primary antagonist of the precariat is the State. An uprising of the precariat (hopefully peaceful) will lead to a new distinctive distribution system”. Che tipo di rivolta sarebbe necessaria oggi?
Ritengo che sia importante rendersi conto che il principale antagonista del precariato è lo Stato. E con ciò intendo le istituzioni governative e i mezzi di comunicazione di massa e così via, che si appropriano degli utili e dei guadagni economici e che riducono i diritti del precariato. Ciò di cui abbiamo bisogno è una rivolta all’interno della parte progressista della nostra politica. Sono dell’idea che proprio da lì dobbiamo partire, perché altrimenti sempre più rapidamente andremo alla deriva, verso un altro periodo buio di dominio politico autoritario.
Lo scorso settembre ha partecipato al workshop dell’Ordine dei medici di Torino “Precarietà e salute: per un approccio multiprofessionale” organizzato da Riccardo Falcetta. Può riassumerci il tema del suo intervento e il messaggio chiave che desidera trasmettere ai politici, agli economisti e ai cittadini italiani, nonché agli operatori sanitari, ai medici?
La conferenza è stata molto gradita dal mio punto di vista perché ha riguardato un aspetto chiave, un aspetto cruciale dello sviluppo del precariato. Fondamentalmente si è trattato di capire, di riconoscere che le persone del precariato soffrono di insicurezza cronica, di un’insicurezza multidimensionale, di un senso di anomia e di un’ansia costante, di un senso di alienazione, sviluppano malattie mentali. Dobbiamo tutti lottare per un reddito di base per tutti nella nostra società: un vero e proprio diritto economico incondizionato dei cittadini italiani che vivono in Italia. Questo per me è radicale, trasformativo, ma totalmente possibile, fattibile e sostenibile.
sintesi di Alessandro Bruni
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