di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
A Mario Draghi l’Unione Europea ha dato l’incarico di presentare uno scenario sul futuro dell’Europa e le conseguenti scelte. Da alcune sue conferenze possiamo desumere il succo del rapporto che verrà presentato.
Su alcune impostazioni strategiche Draghi dice che “ha cambiato radicalmente idea” in quanto la realtà si è incaricata di fiaccare la visione liberista del mercato come generatore di benessere condiviso degli ultimi 20 anni a cui lo stesso Draghi ha partecipato da grande protagonista. Dice ora Draghi in quella che è una sorta di autocritica: “Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e, combinando ciò con una politica fiscale pro-ciclica, l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi. Ma ora il mondo sta cambiando…altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando politiche per migliorare la loro posizione competitiva”.
In sostanza Draghi vuole creare nuovi “campioni europei”, cioè grandi imprese che contrastino quelle americane e cinesi e quindi rafforzare politiche di concentrazione industriale e accordi tra imprese europee di diversi Paesi. A tutta prima sembra una buona idea se pensiamo che oggi l’europea Airbus negli aerei è diventata leader mondiale battendo l’americana Boeing, ma occorre sapere che verrà dato un ulteriore colpo a quella miriade di piccole imprese (specie italiane) e di piccoli artigiani che piuttosto che “finire sotto padrone”, fanno un sacco di ore di lavoro con cui compensano la loro bassa produttività ma garantendo alle medie e grandi imprese quella flessibilità che Germania e Francia non hanno (e che spiega, in parte, il grande successo dell’export della manifattura italiana). Ci sarebbe quindi bisogno, se passa l’idea della ulteriore concentrazione, di una qualche forma di aiuto a questi “piccoli” che sono da sempre il “tesoro” dell’Italia, anche se sono i “grandi” a prendere i titoli dei giornali e i “cavalieri del lavoro” (e a pagare la pubblicità dei grandi media da cui sono “ricambiati”).
Inoltre, se ciò fosse fatto senza ridurre i salari e l’occupazione nulla da obiettare, se no sarà una ulteriore forma di distruzione del modello sociale europeo che coniugava alta produttività con alti salari e welfare che è un unicum nel mondo.
Draghi spiega che dopo la crisi del 2009, che lui chiama del “debito sovrano”, ma che è stata innescata in Europa dalla speculazione finanziaria americana dei subprime, è stato un errore svalutare il lavoro e avviare una politica di austerità. In realtà più che “errori” sono state scelte deliberate come quelle di allargare la UE nel 2004 a 100 milioni di lavoratori dell’Est che avevano un salario pari a 1/3 o ¼ di quello degli italiani, spagnoli, portoghesi, greci (per non parlare dei nordici e tedeschi) e approvare una Direttiva sui “lavoratori dislocati” che consentiva ai Paesi di provenienza (dell’Est) di poter usare la loro legislazione e i loro contratti di lavoro anche nei paesi di destinazione (la “vecchia Europa”, Germania, Italia,…), facendo fallire decine di imprese sotto la pressione del dumping salariale dell’Est Europa. E’ questa, peraltro, la ragione principale per cui i salari italiani non crescono da 15 anni. Situazione poi aggravata da un’altra Direttiva (Bolkestein): tutte scelte pensate attentamente e deliberate e non “errori”.
Articolo 41 della nostra Costituzione: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Si potrà notare che il mercato unico europeo non si muove affatto nella logica dei fini sociali. Anzi, con l’ipotesi di allargamento a 36 Stati, si perseguita nell’errore di far entrare altre decine di milioni di lavoratori (in un mercato unico senza politica) che hanno un salario medio di 300 euro al mese. Ciò ovviamente, come avvenuto dopo il 2004, accentueranno le delocalizzazioni e la pressione per tenere bassi i salari nella “vecchia Europa”. Se si vuole aiutare l’Ucraina si crei un “Piano Marshall”, senza farla entrare in Europa (come gli altri 8 candidati).
Che sia necessario passare da una competizione “gli uni contro gli altri” siamo d’accordo ma ciò implica accordi comuni sulla difesa, sulla politica estera, su politiche industriali comuni che implicano più che un libero mercato ancora più esteso ad altri 9 Stati, una Politica europea che non c’è.
La costruzione di imprese che possano essere “campioni europei” deve avvenire nella difesa degli attuali livelli salariali e introducendo più welfare. Se è invece un modo per concentrare la conoscenza in poche mani e quindi favorire pochi grandi oligopolisti europei, non siamo per nulla d’accordo. Una spia in tal senso è la bocciatura della Commissione europea a costruire una infrastruttura pubblica comune per farmaci e simili come avrebbe consigliato il dopo Covid. Anzi l’idea è usare i dati dei pazienti UE per accelerare gli extra profitti delle grandi imprese private.
Siamo invece ancora succubi degli Usa e non si capisce che siamo entrati in un nuovo secolo che non sarà più quello “Americano”. Si ignora l’importanza di costruire un rapporto paritario con l’Africa e dove si pensa a costruire filiere che non dipendano da materie prime possedute dai Cinesi, Asiatici o Russi, una follia isolazionista (di cui si accusa Trump e non si vede la nostra).
Poi c’è il riarmo europeo come se dovessimo andare verso nuove guerre. Un conto è infatti una difesa europea che può costare molto meno della somma dell’attuale budget dei 27 Stati e che si basi più sulla diplomazia e buoni rapporti con tutti che sulla forza militare (che pure ci vuole) e un conto è stare dentro un riarmo deciso dalla Nato (con un mix letale tra segreti militari e proprietà intellettuale) in cui spendiamo un sacco di soldi per seguire le follie degli Stati Uniti (presto vedremo la fine dell’Ucraina identica a quella dell’Afghanistan).
Poi si vorrebbe discutere se i fondi pubblici (e l’eventuale debito comune) deve servire per allargare il Welfare o per essere usato da privati o se la rete pubblica dei computer sia per supportare start-up private sull’AI o una prosperità diffusa a tutti i cittadini. La fine dell’interconnessone delle reti energetiche europee è servita (lo abbiamo visto con la fine del mercato tutelato di gas e luce in Italia voluto proprio da Draghi) più per favorire il libero mercato che i cittadini.
Draghi non fa mai cenno poi al vantaggio comparato che abbiamo invece sulle filiere verdi europee.
In infuturo ci sarà un enorme problema per le imprese di carenza di lavoratori e giovani che implicherebbe l’organizzazione europea di una immigrazione legale programmata di cui non c’è cenno nel Rapporto. Così come sbagliata è l’idea della iper specializzazione nell’istruzione che sarà la più grande topica del futuro in quanto specializzeremo diplomati e laureati per X che andranno a fare per 2/3 Y. Ciò che serve è invece una forte preparazione culturale di base tecnica ed umanistica che consenta adattabilità e libertà.
Draghi fa cenno anche all’importanza di “dare più potere ai lavoratori”, ma rimane un afflato che non si traduce in come farlo (per es. con le compartecipazioni ai profitti delle imprese). E ciò appare in grave dissintonia con l’intero impianto che è in realtà una forma nuova di rilancio del “libero mercato”. Nulla di nuovo e molto di sbagliato.