di Redazione di Good Morning Italia pubblicato il 26 aprile 2024.
Secondo un report commissionato a Global Data dallo specialista della rivendita di vestiti usati Thredup, nel 2025 il settore degli indumenti di seconda mano rappresenterà il 10% del mercato globale della moda (Guardian). A muovere i consumatori verso l’acquisto degli abiti di seconda mano non è solo il portafoglio, ma anche la maggiore attenzione al tema della sostenibilità e la critica al consumismo. In un’intervista a Il Sole 24 Ore l’ad di Vinted Thomas Plantega sottolinea proprio come la sua azienda si ponga come obiettivi sia un cambio di paradigma nei consumi che l’abbattimento delle emissioni dell’industria della moda.
Chi si muove verso il second hand però non sempre è mosso dalla necessità o da una scelta etica. Ormai acquistare indumenti usati è una vera e propria moda, complici i social network che hanno intercettato e trasformato queste abitudini in trend dalle visualizzazioni record che si traducono in vortici di acquisto impulsivo e votato all’accumulo. Come fa notare Rivista Studio, il fenomeno apre a nuove forme di business alla portata di ciascuno che finiscono però per snaturalizzare il second hand: si acquistano abiti di seconda mano al solo scopo di rivenderli e si finisce perciò ancora una volta nella dinamica consumistica, che dovrebbe essere estranea al settore.
L’altro aspetto critico di questa tendenza è che se tutti acquistano abiti di seconda mano, inevitabilmente i prezzi aumenteranno tagliando fuori chi era costretto ad acquistare indumenti di seconda mano per ragioni economiche. La conseguenza più inaspettata, come sottolinea Forbes, è quindi che il fast fashion non è affatto in declino perché in molti casi i prezzi di vendita dei capi di abbigliamento sono più convenienti di quelli che si trovano nei negozi dell’usato.