a cura di Alessandro Bruni. Post scelti da Vita.it, maggio 2024.
Inclusione scolastica: totem e tabù
A questo punto, francamente, fa sorridere affermare – come ha fatto Matteo Salvini, che finalmente ha rilasciato una dichiarazione pubblica – che le parole del generale Roberto Vannacci sono state travisate. Ma forse, francamente, fa anche relativamente poca differenza. Perché la questione vera, lapalissiana dopo due giorni di polemiche, è che quando le parole vengono dette da uno, in realtà sono già pensate da molti. E se anche Vannacci davvero non avesse voluto dire che dovremmo tornare alle classi speciali, separando alunni con disabilità e bisogni specifici (quali? quando?) dagli altri, è comunque questa la questione attorno a cui il paese sta discutendo da due giorni. Un pensiero che – sdoganato da lui oggi e in modo diverso da Ernesto Galli Della Loggia ieri – comincia a non essere più un tabù. Che l’argomento “inclusione” non sia un tabù, è un bene. Fingere però che questo equivalga a dire che l’inclusione è un mito, è un male. Oltre che una menzogna. L’accelerazione in questa direzione però è stata pazzesca, mentre è esattamente quello il punto su cui dovremmo creare un argine. Dovremmo infrangere il tabù, senza trasformare le crepe in un totem. Al di là del dubbio (legittimo) se sia meglio, oggi, reagire o stare in silenzio e se parlare significhi soprattutto stare al gioco di chi vuole sollevare polveroni elettorali per farsi notare. Il discrimine è quello. Affrontare apertamente le criticità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità senza aprire varchi alla possibilità di un ritorno delle scuole o classi separate (si legga in proposito il bel documento con cui la Società italiana di pedagogia speciale-SipeS ha risposto a Ernesto Galli Della Loggia nei mesi scorsi).
Scuole speciali, addio: perché lo abbiamo fatto
Nel 1977 l'Italia ha abbandonato scuole speciali e classi differenziali, per una scuola inclusiva. Le ragioni di quella scelta valgono anche oggi. Con un'attenzione: «Nell'inclusione non c'è una ricetta buona per tutti i contesti: quello è solo il primo step, l'inserimento». In dialogo con Catia Giaconi, presidente della Società italiana di pedagogia speciale.Franca Falcucci lo aveva chiarissimo. «Ho sempre creduto nella scuola come luogo dove si sviluppano le potenzialità delle persone e nel diritto di tutti ad essere protagonisti della propria crescita», mi disse nel 2007, quando la cercai per un’intervista in occasione dei trent’anni dalla legge che porta il suo nome. Una frase semplice, che però va dritta al cuore della questione. Classe 1926, prima ministra dell’istruzione donna nel 1982, nel 1975 da senatrice ha presieduto la commissione parlamentare sull’integrazione scolastica degli alunni handicappati (il termine che si usava allora era questo). Le conclusioni di quel lavoro, note come “Documento Falcucci”, sono le radici dell’inclusione scolastica in Italia. «Non ricordo nessuna battaglia campale. Certo era cominciata che gli handicappati in classe nessuno li voleva, c’erano molte resistenze. Il problema non era tanto dentro il mondo della scuola, ma fuori: culturale, nelle famiglie. Però ci abbiamo lavorato molto, prima di fare la legge abbiamo preparato a lungo il terreno, quindi alla fine ci fu un clima positivo, anche nella fase attuativa, che poi ho vissuto direttamente da ministro».
Caro Vannacci, con le classi differenziate ci perdono tutti
La diversità, a scuola, è una ricchezza perché insegna l'empatia e l'ascolto. «Se dobbiamo formare manager tutti testa e niente anima, facciamo pure le classi differenziate. Ma se vogliamo formare delle persone, allora, oltre al sapere nozionistico, è fondamentale anche l’esperienza della diversità», dice la maestra Maria Antonietta Terraneo. Avere delle classi differenziali, come ha proposto il generale Roberto Vannacci, candidato alle europee con la Lega, causerebbe un grave danno ai bambini e ai ragazzi che frequentano le scuole italiane. E non solo a coloro che sono in una condizione di disabilità. La diversità è una ricchezza, che va coltivata e che aiuta a formare i cittadini del domani. Maria Antonietta Terraneo, docente della scuola primaria e responsabile dell’inclusione all’istituto comprensivo Don Milani di Mariano Comense, in provincia di Como, ne è convinta e lavora proprio per offrire una didattica personalizzata, attenta ai bisogni di ciascuno e valore aggiunto per tutti. La sua scuola collabora con Fondazione Sacra Famiglia.
Da genitore dico no alle classi differenziali
Agata, che oggi ha 12 anni e ha una disabilità motoria conseguente a una paralisi cerebrale, ha frequentato il nido, la materna e le elementari in una scuola normale. La sua mamma, Anna Baldoni, racconta come queste siano state esperienze molto positive per lei e i compagni. «Il gruppo di insegnanti ha fatto un buon lavoro. Alla fine sono sempre le persone a fare la differenza». «Ho fatto da tutor ai miei compagni più in difficoltà con lo studio e loro mi hanno protetto in corridoio per non farmi cadere. La donna che sono oggi è nata lì»: Anna Mannara, nutrizionista e consigliera nazionale Uildm, entra nel dibattito sulle "classi separate" raccontando cosa ha lasciato l'esperienza scolastica a lei e ai suoi compagni. "Le parole di Vannacci non mi hanno sorpreso e nemmeno fatto arrabbiare. Se hai una figlia o un figlio con disabilità maturi nel tempo una grande pazienza e sei abituato al peggio». È il commento, pragmatico e di chi è abituato a battagliare, di Anna Baldoni, insegnante e mamma di Agata, che ha 12 anni e una disabilità motoria conseguente a una paralisi cerebrale. Proprio lei, con il suo «sono stanca di essere presa in braccio», è l’ispiratrice dell’associazione “Le passeggiate di Agata”, che a Ferrara lavora per l’accessibilità di strade, parchi, negozi. Agata ha frequentato il nido e la scuola materna, nelle scuole normali. «Sono stati un’esperienza fantastica anche grazie Elisa, educatrice di sostegno che è stata con la classe dal nido alla fine della scuola materna», racconta. «Elisa le ha fatto fare di tutto, anche se Agata non gattonava e non potevo muoversi, le ha permesso di giocare con i compagni, sempre. Quando mia figlia è cresciuta, Elisa ha costruito dei piani di lavoro in giardino perché potesse fare i laboratori con le altre bimbe e bimbi. La parola d’ordine di questi anni è stata: fare tutto insieme agli altri».
Perché per mio figlio ho scelto una scuola speciale
Cristina Molteni è la mamma di un ragazzo con pluridisabilità. In questa testimonianza, senza pregiudizio e con una abbondante dose di pragmatismo, racconta come mai per suo figlio ha scelto una scuola speciale. «Non auspico un ritorno alle classi differenziali, ma credo che sia ancora un bene che qualcuna di queste scuole esista» osserva. «Allo stato attuale ci sono ancora molteplici criticità che, nella realtà, rendono l'inserimento degli alunni con disabilità e la loro partecipazione alla vita concreta della classe, molto lontano dall'essere effettiva e piena». «Non auspico un ritorno alle classi differenziali, alla separazione obbligatoriamente forzata delle persone con disabilità dai “normodotati”. Occorre però analizzare con occhio attento la realtà, che ha sempre qualcosa da insegnarci: perché mai ci sono scuole con sezioni speciali (spesso collegate a centri riabilitativi, tipo l’Istituto Don Gnocchi o La Nostra Famiglia) per le quali la richiesta è altissima, con lunghe liste d’attesa?». A parlare così è Cristina Molteni, mamma di un ragazzo con pluridisabilità. Lei e suo marito, «volendoci ragionare senza pregiudizio e con una dose necessaria di pragmatismo», hanno visitato tre scuole speciali, oltre ad innumerevoli scuole “ordinarie” e alla fine, anni fa, hanno iscritto il loro bambino, oggi adolescente, in una scuola speciale.