di Chiara Saraceno. Pubblicato in La Stampa del 11 maggio 2024.
Impedire alle persone di parlare non è mai una bella cosa, sia che lo si faccia utilizzando discrezionalmente il potere istituzionale di censurare, allontanare, non invitare, sia che si utilizzi la pura forza fisica del rumore. Pur senza trascurare la sproporzione tra i due metodi, e tra i due soggetti che vi ricorrono, e senza confondere la censura con la contestazione, li accomuna il rifiuto di un confronto, anche aspro, ma che richiede di ascoltarsi reciprocamente.
Le contestatrici della ministra Roccella diranno che la situazione era troppo asimmetrica, non solo perché la ministra era al tavolo dei relatori e loro no, ma perché la ministra ha dietro di sé tutta l’autorevolezza e il potere di un governo che, anche proprio su sua iniziativa, ha preso decisioni discutibili in tema di maternità, procreazione, diritti dei bambini.
Ha infatti permesso ai movimenti Pro vita di intercettare le donne che vogliono abortire nel luogo dove dovrebbero essere più protette e accompagnate da personale qualificato, i consultori pubblici, ed utilizza una narrazione sulla denatalità molto colpevolizzante per le donne, senza ascoltare voci contrarie, non alla maternità, ma a quel tipo di approccio. È molto contrario all’educazione sessuale nelle scuole.
Si oppone al riconoscimento da parte di entrambi i genitori dei figli delle coppie dello stesso sesso, quindi al diritto dei figli/e di avere entrambi i genitori che li hanno voluti, senza neppure tentare almeno una distinzione tra figli di coppie di uomini, ove c’è ricorso alla controversa gestazione per altri e di coppie di donne, ove spesso entrambe le madri hanno concorso fisicamente alla procreazione, una come donatrice di ovuli, l’altra come gestante. Sottovaluta le difficoltà di molte madri, e di molte che vorrebbero diventarlo, a trovare o mantenere un lavoro.
L’elenco sarebbe lungo anche se, per dovere di verità, in parte anche ereditato da governi precedenti.
sintesi di Alessandro Bruni
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