Una lavoratrice su 5 nel nostro Paese esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre e il 72,8% delle convalide delle dimissioni dei neogenitori riguarda le donne. Intanto, si registra l’ennesimo record negativo per la natalità: il 2023 ha registrato il minimo storico delle nascite, ferme sotto le 400mila nascite e con un calo del 3,6% rispetto al 2022. Le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: nella popolazione femminile, in età fertile tra i 15 ei 49 anni, il numero medio di figli per donna, infatti, è di 1,20, mostrando una diminuzione rispetto al 2022. E il calo della natalità ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione: nel 2023 ci sono stati meno 3mila nati rispetto all’anno precedente. Inoltre, l’Italia si conferma come uno dei Paesi europei con la più alta età media delle donne al parto, circa 32,5 anni e come il Paese europeo con la più alta età media delle donne per la nascita del primo figlio, circa 31,6 anni, con 8,9% di primi nati da mamme over 40, tasso inferiore solo a quello della Spagna. Sono alcuni dei risultati del Rapporto Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024 di Save the Children che per il 9° anno consecutivo traccia un bilancio delle infinite sfide che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme.
Per le donne, si sottolinea nel Rapporto, il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia rimane critico per chi nella propria famiglia svolge un lavoro di cura non retribuito. Il gender gap tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne in Italia, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Una spia delle difficoltà che le madri affrontano nel conciliare impegni lavorativi e familiari, viene mostrata dal numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà delle donne con due o più figli minori ha un impiego, cioè il 57,8%. Al contrario, per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell’83,7%, che varia e va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Un’altra spia delle difficoltà per le madri nel conciliare lavoro e famiglia è senz’altro quella del lavoro a tempo pieno, più comune tra gli uomini rispetto alle donne, mentre accade l’opposto per il lavoro part-time: solo il 6,6% degli uomini che lavora, lo fa a tempo parziale, rispetto al 31,3% delle lavoratrici, che per la metà dei casi subisce un part-time involontario. E tra le donne che hanno figli, aumenta notevolmente la percentuale di donne impiegate a tempo parziale, ovvero il 36,7% rispetto a quelle senza figli, cioè il 23,5%. mentre, ra gli uomini, invece, si passa dall’8,7% per chi non ha figli al 4,6% per i padri.
La nascita di un figlio influisce pesantemente sulla disparità di genere nel mondo del lavoro, come mostrano i dati delle dimissioni volontarie post genitorialità: nel 2022 sono state effettuate complessivamente 61.391 convalide di dimissioni volontarie per genitori con figli in età 0-3 in tutta Italia, in crescita del 17,1% rispetto all’anno precedente e la percentuale che riguarda le donne è del 72,8% del totale, pari a 44.699. Mentre il 27,2% riguarda uomini, pari a 16.692. E per le donne il motivo principale delle dimissioni è la difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino/a: il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, mentre il 21,9% per problemi di organizzazione del lavoro. Complessivamente, gli impegni legati alla cura rappresentano il 63,6% di tutti i motivi di convalida delle dimissioni fornite dalle lavoratrici madri. Per gli uomini, invece, il motivo principale è di natura professionale: il 78,9% ha dichiarato che la fine del rapporto di lavoro è stata dovuta a un cambio di azienda e solo il 7,1% ha riportato esigenze di cura dei figli.
Il Rapporto di Save the Children include anche l’Indice delle Madri, elaborato in collaborazione dall’ISTAT, una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile vivere. Anche quest’anno, l’Indice indica la Provincia Autonoma di Bolzano a guidare i territori “mother friendly”, seguita da Emilia-Romagna e Toscana. Nonostante rispetto all’anno precedente, la situazione italiana è migliorata sia in modo assoluto che per gap territoriale, le regioni del Mezzogiorno continuano a posizionarsi tutte al di sotto del valore di riferimento italiano: fanalino di coda risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica, da Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Sono queste le regioni che più di altre, scontano i mancati investimenti sul territorio, traducendosi in una carenza strutturale di servizi e lavoro.
Nelle conclusioni del rapporto (ove vengono proposte iniziative per la condivisione della cura, per il welfare e il lavoro e per i servizi per la prima infanzia) si evidenzia che: “Molti Paesi europei si sono dotati di strumenti politici volti ad affrontare e gestire il cambiamento demografico a partire da approcci diversi (ad esempio mettendo al primo posto il benessere delle famiglie come in Francia o la parità di genere come in Finlandia), ma attraverso una molteplicità di misure atte a rispondere al problema in maniera organica.” E in questo panorama, sottolinea Save the Children, l’Italia non sembra aver ancora affrontato il problema nella sua complessità, agendo su più fronti e con politiche organiche, olistiche e di lungo periodo.”