di Stefano Allievi. Pubblicato nel blog dell’autore il 16 maggio 2024.
Bene fa Confindustria a incontrare i candidati alle elezioni europee: e pretendere una competenza adeguata dei medesimi. Male fanno tutti gli altri (categorie economiche, organizzazioni sociali, terzo settore, mondi religiosi, tutto quell’articolato mondo di socialità intermedie che costituisce il vero tessuto della società) a non fare altrettanto. E vale anche per gli individui e i singoli elettori: a cominciare dagli iscritti e militanti di partito sopravvissuti – i primi a essere umiliati dalle scelte che fanno le loro organizzazioni di riferimento.
Una vera pressione della società civile sarebbe utilissima a contenere le scelte inconcludenti e spesso avvilenti dei partiti. Purtroppo non ce n’è abbastanza. E le liste lo dimostrano. Come al solito, prevalgono (almeno tra coloro che hanno qualche possibilità di essere eletti) alcune figure specifiche: sempre quelle. I e le leader di partito, innanzitutto: che in Europa non ci andranno, ma mettono il loro nome per acchiappare il consenso generico di chi vota senza sapere perché – non distinguendo tra elezioni europee e nazionali. Certo, la colpa, in fondo, è di un elettorato impreparato, e inconsapevole del fatto che il suo voto di simpatia o di fedeltà sarà utilizzato per eleggere qualcun altro: tipicamente delle persone senza competenza (nemmeno quella di cercarsi le preferenze da soli), ma che poi obbediranno ciecamente alle direttive di partito – un comportamento, del resto, molto generosamente ricompensato. Ad evitarlo, basterebbe una norma di buon senso: per cui, se qualcuno si candida a qualcosa – qualunque cosa – e poi viene eletto, dovrebbe essere vincolato ad accettare la carica in questione dimettendosi da quella precedente. Ma naturalmente nessuno l’approverà mai.
I candidati bandiera sono un’altra figura tipica: persone messe in lista, spesso come capilista, non per le competenze che hanno, ma per quello che rappresentano. È un meccanismo in certa misura inevitabile, che qualche volta è stato persino usato bene: e tuttavia dovrebbe farci riflettere. Di solito si tratta di esterni ai partiti, e quindi potenzialmente più indipendenti e critici: ma spesso sono scelti tra impolitici, interessati quindi più all’avere che al dare. In passato sono stati in molti casi campioni di assenteismo, visto che il biglietto vincente della lotteria arriva solo una volta (una legislatura e poi via), e conviene massimizzare i vantaggi investendo il meno possibile. E il loro ruolo, anche nella tutela degli interessi nazionali, oltre che nel far progredire la costruzione dell’Europa, è quasi sempre nullo.
Gli amministratori sono una categoria molto gettonata, ma anche qui si opera una confusione: tra elezioni europee e locali. Non è detto che un sindaco, un assessore municipale o regionale, un consigliere, per quanto abbia operato decentemente (e una valutazione andrebbe pur fatta, sul passato: non sul fatto che c’eri, ma su quello che hai realmente prodotto) possa essere una figura altrettanto utile in un luogo, il parlamento europeo, dove i dossier – e le scale di grandezza – sono tutt’altri. E il minimo che dovremmo chiedere (a questa categoria come a tutte le altre), è di avere dimostrato un qualche interesse per i temi europei: sennò che ci si va a fare?
Infine, gli uscenti. Bene rieleggere chi già c’era, e conosce già gli ingranaggi: ma, anche in questo caso, basta esserci, o non dovremmo chiedere anche che cosa si è fatto nel concreto?
Non si pretende che siano i partiti a maturare una maggiore consapevolezza. Loro preferiscono, si sa, i fedeli alla linea alle voci critiche, i dilettanti rispetto ai professionisti, i ricattabili (se non fai quello che dico non ti metto in lista) agli indipendenti (che uno stipendio sono capaci di guadagnarselo anche da soli), i mediocri rispetto a chi può contestare la leadership e sostituirla. Ma dovrebbero farlo gli elettori: noi. Usando l’arma che abbiamo, la preferenza. Che non sarebbe spuntata, se la usassimo con discernimento. Subordinando le nostre scelte a dei criteri minimali: attività passata, competenze specifiche, conoscenza (almeno) dell’inglese. L’alternativa, del resto, non è incoraggiante: rassegnarsi al progressivo livellamento verso il basso del ceto politico, e quindi all’ininfluenza dei nostri rappresentanti – anche nel difendere i nostri legittimi interessi. Temiamo che una buona parte dell’astensionismo (rischiamo che anche in queste elezioni si rechi alle urne solo la metà del corpo elettorale) sia già motivato da queste ragioni.