di Gabriella La Rovere. Pubblicato in Cervelli ribelli del 6 giugno 2024
Una breve premessa. Ho deciso di esplorare l’ambito dell’autismo sindromico nel quale, alle difficoltà comportamentali, si associano le problematicità legate alla malattia genetica di base. Una sfortuna nella sfortuna, sia per chi ne è affetto, che per chi ne ha cura. Genitori che si sentono gravati da sensi di colpa per essere probabile causa di tale iattura e trascinano questo enorme peso senza riuscire mai a liberarsene. Ne conosco ogni più recondito aspetto, giornalmente ne curo la piaga sanguinolenta dell’anima che si apre ad ogni nuova notizia riguardante vissuti sanitari di persone con la stessa malattia genetica di mia figlia. Parlarne è forse un modo per esorcizzarla e trasformarne l’innegabile negatività in qualcosa di utile.
Si parla di “autismo sindromico” quando i disturbi dello spettro autistico sono presenti in sindromi genetiche dovute a delezioni o duplicazioni di geni specifici. Rappresenta circa il 10% di tutti i casi di autismo ed è spesso associato a ritardo cognitivo, malformazioni congenite o aspetti dismorfici caratteristici. A differenza dell’autismo primario nel quale c’è una prevalenza nei maschi, in quello sindromico c’è una uguale incidenza tra maschi e femmine. Di particolare interesse sono anche i disturbi comportamentali e/o psichiatrici associati.
È mia intenzione fare una breve revisione delle 12 sindromi genetiche classiche frequentemente associate a disturbi dello spettro autistico. Che una malattia sia rara non vuol dire relegarla tra le cose che non hanno importanza in termini di politica sanitaria e sociale. I progressi della tecnologia genomica con il sequenziamento di ultima generazione e i microarray[1] cromosomici ad alta risoluzione consentono l’identificazione di piccole delezioni o duplicazioni del DNA che danno significato a tanti quadri clinici, aprendo un piccolo spiraglio alla ricerca scientifica e all’uso mirato di tecniche pedagogiche-abilitative. Al termine il link all’associazione italiana di riferimento.
Sindrome dell’X fragile
È riconosciuta come la seconda più comune causa di disabilità intellettiva (dopo la sindrome di Down), responsabile di circa il 50% della disabilità cognitiva legata al cromosoma X. Ha un’incidenza di 1:4000 maschi e 1:7000 femmine. Nel 1943 i dottori Martin e Bell descrissero una famiglia numerosa con ritardo mentale, ma solo successivamente divenne chiaro che la sindrome potesse essere ereditaria. La sindrome è dovuta a un difetto nel gene FMR1, localizzato sul cromosoma X, che contiene le istruzioni per la produzione della proteina FMRP, importante nello sviluppo delle strutture del cervello. Il gene FMR1 ha una particolare caratteristica: presenta la tripletta CGG (citosina-guanina-guanina) in numero variabile all’inizio del gene; in base al numero delle triplette, è possibile fare un’ulteriore classificazione dei soggetti con questa sindrome. Soggetti con meno di 45 ripetizioni della tripletta producono normalmente la proteina FMRP e quindi non ci sono disturbi; soggetti con numero di ripetizioni della tripletta tra 45 e 54 anche essi producono normalmente la proteina senza alcun disturbo associato; soggetti con numero di ripetizioni della tripletta tra 55 a 200 (premutazione) hanno una situazione genetica instabile in quanto questa anomalia potrebbe aumentare nei figli e dare problemi; soggetti con più di 200 ripetizioni della tripletta non sono in grado di produrre la proteina FMRP o ne producono in minima quantità e in essi si manifesta la sindrome.
Questa espansione della tripletta CGG produce instabilità nel gene FMR1, portando alla metilazione anormale e alla soppressione della trascrizione, con conseguente diminuzione dei livelli di proteine cerebrali codificate dal gene richiesto per il normale sviluppo e funzionamento neurologico.
La cosiddetta “premutazione”, che si verifica quando il numero di ripetizioni è compreso tra 55 e 200, può provocare menopausa precoce (insufficienza ovarica primaria associata all’X fragile), sindrome da atassia/tremore associata all’X fragile (FXTAS, malattia neurodegenerativa progressiva che si manifesta più tardi nell’età adulta) o disturbo neuropsichiatrico associato all’X fragile (FXAND). Gradi minori di compromissione funzionale, tipicamente riscontrati nelle donne con sindrome dell’X fragile, sono dovuti al fattore protettivo di avere un allele FMR1 normale sul secondo cromosoma X.
L’autismo è presente nel 50% dei maschi e nel 20% delle femmine, nelle quali il quadro clinico-comportamentale è più sfumato. La sindrome dell’X fragile è caratterizzata da una disabilità intellettiva da moderata a severa, accompagnata da aspetti distintivi facciali con viso allungato, fronte alta, ipotelorismo (minore distanza tra gli occhi), mascella sporgente, zigomi meno sviluppati del normale, grandi orecchie; sono presenti prolasso della mitrale, lassità legamentosa, obesità, ernia, macro-orchidismo.
La disabilità cognitiva colpisce circa l’85% dei maschi e il 25% delle femmine con quozienti intellettivi (QI) che vanno da una disabilità intellettuale media a grave. C’è una tendenza ad un progressivo peggioramento della capacità cognitiva nei maschi con il progredire dell’età. Le femmine possono avere difficoltà nell’apprendimento, non così severe come nei maschi, ansia sociale, menopausa precoce.
La sindrome dell’X fragile è associata ad aspetti di ADHD; fino al 70% dei giovani con questa malattia ha almeno un disturbo d’ansia rispetto a circa il 10% degli individui normali, di pari età. I disturbi d’ansia più comuni sono il disturbo d’ansia generalizzato, le fobie specifiche, il disturbo d’ansia sociale, il disturbo ossessivo -compulsivo
La depressione è un altro aspetto clinico della patologia, presente nel 40% dei portatori di premutazione e nel 65% della sindrome da atassia/tremore associata all’X fragile.
X Fragile – Associazioni Italiana Sindrome X Fragile
[1] Microarray o chip a DNA è una tecnica che permette di esaminare in parallelo l’intero genoma di un organismo o la totalità dei suoi prodotti su una singola lastrina di vetro o silicio (chip) Fonte: Treccani