a cura di Stefano Zecchi. Pubblicato in Alzogliocchiversoilcielo del 6 giugno e in Rocca del 15 giugno 2024.
È una grande emozione essere accolto nel Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, da Marinella Perroni, dove insegna Nuovo Testamento. Dottore in Filosofia e Dottore in Teologia è stata presidente del Coordinamento Teologhe Italiane (Cti). È una delle più importanti e ascoltata fra le teologhe italiane. Numerose sono le sue pubblicazioni in ambito neotestamentario. Dirige, con Stella Morra, la collana «Sui generis» per Effatà Editrice.
Buon giorno Marinella, come sta?
Non è facile rispondere. Posso dire che sto abbastanza bene se penso unicamente alla mia situazione individuale. Se però provo a pensarmi nel mondo, allora è difficile poter rispondere che sto bene. Tanti anni fa «War games» era un film mentre oggi, purtroppo, è morte e disperazione, fame e distruzione.
… e la chiesa cattolica come sta?
Se è difficile rendere ragione del mio stato di «salute» personale, dire qualcosa di sensato su quello della chiesa cattolica è pressoché impossibile. Un’emorragia costante di fedeli che lasciano le comunità cristiane è sotto gli occhi di tutti. In alcuni casi prende la forma di quello che, sia pure impropriamente, viene chiamato «sbattezzo». L’appartenenza a una «chiesa storica» chiede la capacità di declinare la propria fede e la propria speranza dentro le pieghe della storia, fatta di un oggi che spesso sgomenta e di un futuro impercettibile, per non parlare di un passato sconcertante. La fede ebraica e quella cristiana, però, senza storia non possono esistere, non possono lasciarsi consegnare al mito.
In virtù del battesimo siamo sacerdoti, re e profeti, uomini e donne. C’è la speranza che si arrivi ad una vera corresponsabilità nella vita della Chiesa?
Soltanto a una condizione: che si superi finalmente e definitivamente il binarismo clero-laicato che ha garantito la solidità della chiesa medievale e che la chiesa cattolico-romana ha continuato in tutti i modi a sostenere in risposta alla Riforma protestante, ma che oggi è il primo freno a qualsiasi possibilità di attuare quelle riforme di cui proprio la stessa chiesa cattolica ha grande bisogno. È la grande vergogna che sta condannando le chiese, tutte, all’insignificanza, che favorisce delusione e abbandono, che determina il calo di fiducia da parte dei fedeli. E, forse, è perfino troppo tardi e sui libri di storia si studierà il contributo che le chiese cristiane hanno dato al declino dell’Europa perché, invece di riconoscersi, di perdonarsi e di ricercare insieme nuove strade, sono rimaste paralizzate nei loro recinti.
Nelle nostre liturgie domenicali i laici hanno un ruolo marginale, non da protagonisti. Il prete, purtroppo non presiede, ma celebra, tutto è centrato non sull’assemblea eucaristica, ma su chi presiede.
Purtroppo, se restiamo fermi su certi binari morti, vedo molto difficile la possibilità di rendere vive le nostre liturgie. La liturgia dovrebbe essere espressione di una chiesa viva e, in un tempo in cui la vita si misura anche sulla velocità di cambiamento, una chiesa vecchia e di vecchi difficilmente trova il suo modo di stare al passo. Il cambiamento di una parolina o di una riverenza viene sempre «dall’alto» e sembra una riforma epocale! Purtroppo, però, è difficile uscirne: liturgie vive sono il prodotto di comunità vive, ma è ben difficile che un «hospice» sia una comunità viva!
I «Viri probati» diventeranno una realtà?
Forse, chissà, chissà dove e chissà quando! Ma – perdonate la franchezza! – a me sembra una toppa (più o meno nuova) su un vestito vecchio. Almeno da noi. Forse, possono veramente contribuire a sostenere il cammino di altre chiese nazionali o continentali in cui è in corso uno sviluppo sia quantitativo che qualitativo dei fedeli. Ma: quali i criteri di scelta e quali le condizioni? Se il cuore della loro identità non è la loro formazione teologica e pastorale, ma la loro promessa di astenersi dai rapporti matrimoniali, beh…
A che punto è la «Commissione sul diaconato delle donne» convocata da papa Francesco?
Viste le premesse, non poteva che incagliarsi e si è incagliata. Per motivi diversi: la mancanza di autentica volontà politica di servirsene da parte di Francesco, la scelta delle persone fatta in modo tale che non potesse finire altro che nella constatazione della propria inadeguatezza (la prima commissione) e della propria inutilità (la seconda). Soprattutto, però, il fatto che la questione del diaconato fa parte di tutto il sistema ministeriale della chiesa cattolica che dovrebbe essere riformato e non si tratta di dare alle donne un contentino con un «diaconato femminile», magari pensato come complementare a quello maschile e ritagliato sul pacchetto di virtù attribuite alla donna ideale che gli uomini di chiesa sognano ancora debba e possa esistere! Il diaconato non è né femminile né maschile, è l’accesso al ministero diaconale che deve essere possibile a tutti i battezzati.
Stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi, come dice papa Francesco. In questo contesto attuale le Chiese possono diventare segni e strumenti di pace? Ha ancora senso il Vangelo della pace?
Vorrei rispondere in modo secco: le chiese sono state capaci di accompagnare le guerre con cappellani e infermiere che hanno garantito almeno una qualche forma di umanizzazione dell’orrore, sono state (e sono ancora!) capaci però anche di inneggiare alla «guerra santa» e di benedire le armi: trovare modi per scomunicare le guerre o almeno benedire armi di pace sembra però che non sia possibile… Papa Francesco? Vox clamans in deserto!
L’esortazione apostolica «Amoris laetitia» e la precisazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso hanno suscitato dibattito e perplessità. Cosa ne pensa?
Che purtroppo questo pontificato ha all’attivo il merito di aver accettato di assumere nella sua agenda problemi e questioni che le persone vivono quotidianamente, ma non ha sempre avuto l’intelligenza di affrontarle con competenza e lungimiranza. Non sempre gli uomini messi nei luoghi-chiave dell’esercizio dell’autorità sono stati scelti da Francesco con la necessaria capacità di selezione. Poi, mettiamo sul conto anche la continua e rumorosa minaccia di scismi da parte di retrovie ecclesiastiche tanto vergognose quanto potenti. Fare il pontefice non è mai facile, farlo in una chiesa tenuta sotto il pugno di ferro per tanti anni è sicuramente ancora più difficile: Francesco opera con gli uomini che ha a disposizione.
Prima di concludere questo nostro colloquio vorrei ricordare una persona cara a tanti di noi, Michela Murgia. Che ricordo ha di Michela?
I grandi lutti hanno bisogno di essere seguiti da almeno un anno di silenzio. Per me, oltre tutto, l’emozione è ancora forte, accompagnata da una sorta di rifiuto di elaborare un «ricordo».
sintesi di Alessandro Bruni
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