di Alessandro D’Avenia, Pubblicato in Alzogliocchiversoilcielo e in Corriere della sera del 3 giugno 2024.
Oggi è il centenario della morte di Franz Kafka, uno degli autori che ho incontrato proprio nell'anno della maturità e che da allora non ho smesso di frequentare. Ispirato dall'anniversario ho letto Conversazioni con Kafka dello scrittore Gustav Janouch che, da adolescente, poiché il padre lavorava nella stessa compagnia assicurativa di Kafka, lo conobbe ed ebbe come amico e mentore. Che cosa hanno in comune fatti così diversi?
I quattro indizi provano che la vita è un'esplorazione, spesso paurosa e faticosa, che può avvenire solo nella misura in cui apparteniamo a qualcuno. Che si tratti di un genitore, di un mentore, di un amore, di un autore conosciuto direttamente o attraverso i suoi scritti, per venire al mondo abbiamo bisogno, come nelle traversate difficili in montagna, di una corda, cioè di appartenenza, che non è certo vincolo e possesso, ma legame che rende stabili e permette di avanzare. In fondo la maturità (non l'esame) è diventare capaci, attraverso la cultura, di scoprire che niente e nessuno ci è estraneo, che la vita cresce per legami, dalle molecole alle grandi civiltà.
Questo soggettivamente accade solo se diventiamo consapevoli di quando e quanto «apparteniamo»: che cosa mi rende vivo, cioè che cosa mi lega profondamente e stabilmente alla vita, tanto da essere libero poi di avanzare? Essere vivi e non solo viventi è infatti essere in comunione. La cultura del farsi da soli genera individualisti in guerra con il mondo, e invece la vita fiorisce quando partecipiamo (ne siamo parte e facciamo la nostra parte) alla sua trama come uno dei suoi nodi. Kafka aveva la ferita dell'inappartenenza, come scrive nei suoi Diari: «La mia educazione ha fatto più guasti di quanto riesca a comprendere...
Questa è cultura (dal latino prendersi cura): curare la sofferenza, la fragilità, la ricerca, le domande. Essere chiamati per nome fa sentire l'appartenenza che rende capaci, come scriveva la mia studentessa, di amare la bellezza nel e del quotidiano, in incontri che, coltivati, diventano legami, e quindi esplorazioni, come quella del bambino che gattona. Un incontro mancato con la bellezza è un legame mancato con la vita, e senza legami a poco a poco la vita diventa una minaccia, come il ragazzo che chiede come «non essere paralizzati dalla paura».
Kafka lo spiega così a Janouch che aveva definito pieno d'amore un suo racconto: «“L’amore non è nel racconto, bensì nell’oggetto della narrazione, nella gioventù”, fece notare Kafka serio. “Sono i giovani a essere pieni di sole e di amore. La gioventù è felice, perché possiede la facoltà di vedere la bellezza. Quando si perde questa facoltà, comincia la vecchiaia, la decadenza, l’infelicità”. “La vecchiaia esclude dunque ogni possibilità di essere felici?”. “No. È la felicità che esclude la vecchiaia: chi mantiene la facoltà di vedere la bellezza non invecchia”».
sintesi di Alessandro Bruni
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