di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Pubblicato in Confronti del 4 giugno 2024.
Con Jürgen Moltmann, deceduto lunedì 3 giugno, alla rispettabile età di 98 anni, scompare l’ultimo esponente della grande generazione teologica che ha dominato il secondo Novecento: Hans Küng, Johann Baptist Metz, Edward Schillebeeckx, Wolfhart Pannenberg, Eberhard Jüngel, Dorothee Sölle, tra gli altri. La specificità di Moltmann risiede forse nell’avere unito il prestigio dell’accademico di altissimo rango a una vasta popolarità anche al di fuori della cerchia strettamente teologica.
Il teologo, che non era avaro di narrazioni autobiografiche, ha raccontato più volte l’esperienza che gli ha cambiato l’esistenza: giovanissimo servente in una postazione antiaerea ad Amburgo, sopravvive, durante a un bombardamento, a un’esplosione che uccide il commilitone accanto a lui. La domanda sul senso di quella sopravvivenza lo accompagna nel campo di prigionia britannico, dove matura una vocazione cristiana e teologica. Rientrato in Germania, dopo gli studi universitari, esercita il ministero pastorale prima di entrare in una rapida carriera accademica. Sposa una teologa, Elisabeth Wendel: la coppia avrà quattro figli e, anni dopo, Elisabeth Moltmann Wendel pubblicherà diversi lavori di orientamento femminista – liberazionista.
Come tutti sanno, il primo grande libro di Moltmann è Teologia della Speranza, del quale abbiamo celebrato poche settimane fa il sessantesimo anniversario: un testo innovativo, che prova a interpretare il messaggio cristiano a partire dal futuro, in un’epoca, come gli anni Sessanta del XX secolo, di grande ottimismo e fiducia nelle possibilità esistenziali, politiche e tecnico scientifiche dell’umanità. Essendo il Nostro un autore straordinariamente prolifico (è certamente tre i teologi più letti e tradotti del Novecento, insieme al suo collega a Tubinga e amico Hans Küng), l’elenco anche solo delle opere principali risulterebbe noioso per chi non è specialista, mentre è ben noto a teologi e teologhe.
Limitiamoci a dire che la sua opera si può dividere in due grandi fasi. La prima, dopo Teologia della Speranza, vede la pubblicazione anzitutto di un libro su Gesù, che intende rinnovare il modo di pensare Dio stesso: il Padre soffre con Gesù crocifisso (secoli prima, tesi simili erano entrate nella storia dell’eresia con un nome difficile persino da pronunciare: patripassianismo) e, in tal modo, vive la propria solidarietà con le donne, gli uomini e la creazione intera. Il terzo testo di questo primo periodo è una trattazione sulla Chiesa come creatura dello Spirito santo.
La sottolineatura dello Spirito (del momento “pneumatologico”, come dicono i teologi) è oggi un luogo comune, ma non lo era allor, quando si parlava della Chiesa quasi esclusivamente a partire da Gesù. Moltmann è probabilmente il primo a includere nella riflessione sulla chiesa non solo Israele (che già di per sé non era ovvio), ma anche le religioni.
A questi tre volumi, segue una seconda fase, tratta i temi principali della teologia cristiana, dalla Trinità alla fine dei tempi (“escatologia”), in quelli che l’autore chiama “Contributi di teologia sistematica”. Il grande talento di Moltmann consiste nell’interpretare in modo geniale lo spirito del tempo: così parla della Trinità in relazione alla socialità umana; della creazione nel quadro della crisi ecologica (oggi lo facciamo tutti, ma il suo è stato il primo grande libro così impostato), di Gesù in rapporto all’ebraismo e così via. Forse i volumi più originali (e perché no, anche discutibili) sono quelli dedicati proprio alla creazione e allo Spirito santo (un secondo, dopo quello sulla chiesa).
A volte si può avere l’impressione che Moltmann sia un po’ un “teologo alla moda”, che parla in termini religioso-teologici di ciò di cui parlano tutti. Forse tale rischio non gli è del tutto estraneo, ma la sua scrittura è sempre di alto livello teologico, per nulla banale; impegnativa, ma comprensibile da chiunque voglia accogliere la sfida della lettura. Le opere principali di Moltmann sono pubblicate in Italia dalla Queriniana di Brescia, ad opera di Rosino Gibellini, che del grande teologo è amico e interprete acuto.
Teologo “politico” (oggi si direbbe “pubblico”) per eccellenza, Moltmann è anche ecumenico in un senso originale. I problemi classici che dividono le chiese lo interessano relativamente poco (anche se, naturalmente, ha fatto parte di numerose commissioni internazionali), ma egli parla, da protestante, in modo assai trasversale e di questioni che interessano tutti. Si appassiona alla riflessione trinitaria ortodossa e dialoga intensamente con il cattolicesimo, prima di raffreddare un po’ i propri entusiasmi di fronte alle prospettive non esattamente promettenti di Giovanni Paolo II.
Mi piace concludere questo ricordo con un piccolo aneddoto, di carattere, appunto, “ecumenico”. Nel 1985, Moltmann è in Italia per presentare il suo libro sulla creazione e viene invitato alla Facoltà Valdese dal prof. Paolo Ricca. Tiene una lezione sul tema, piuttosto spinoso, del «ministero di unità» nella Chiesa.
La tesi è la seguente: il ministero di unità si chiama in greco episkopé ed è esercitato da un episkopos, cioè da un vescovo. Anche la Chiesa ecumenica avrà bisogno di un episkopos universale. Perché non il vescovo di Roma?» Nella sala si alza un brusio: noi studenti protestanti italiani abbiamo eccellenti ragioni per non amare l’associazione delle parole «vescovo» e «Roma». Moltmann capisce e in modo simpatico ma, devo dire, assai paternalistico, replica: «Beh, certo, per una piccola minoranza protestante nell’Italia cattolica può sembrare difficile, ma occorre aprirsi a orizzonti più ampi» e via sdottoreggiando. Al che prende la parola una studentessa di Tübingen (ne ricordo anche il nome: Angelika Wagner): «Professore, Lei parla sempre di “teologia contestuale” in Asia, America Latina, Africa. Quella dei Valdesi è teologia contestuale a cinquecento metri dal Vaticano». Poche volte mi sono sentito così ben compreso. Non so se Moltmann, in quell’occasione, abbia capito la sinfonia, ma in ogni caso, come dicevo, ci hanno pensato i papi stessi, negli anni seguenti.