di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Il titolo di questa riflessione, senza nemmeno un punto interrogativo, può far pensare a un giudizio precostituito, di segno ideologico, mentre si tratta invece di una preoccupata registrazione di un percorso democraticamente regressivo sul quale in nostro Paese è incamminato, con interessata inconsapevolezza del governo e, una certa trascuratezza della stessa opposizione. Cercherò quindi di spiegarlo con una serie di considerazioni.
L’Italia di oggi, stando alla onnipresente propaganda di Meloni & C., ha finalmente trovato, dopo i ripetuti tradimenti dei passati governi della sinistra, il governo giusto che sta invertendo la china della crisi e sta riportando il Paese sulla via del benessere. In occasione delle elezioni europee si è innescata una attività governativa frenetica fatta della decisione di alcune riforme, della cancellazione o rinvio di altre già programmate, di viaggi improvvisi per cercare di rimediare a problemi irrisolti.
Il tutto all’insegna del consenso elettorale come misura del bene e del male in politica. La realtà del Paese, dal punto di vista delle condizioni di vita dei cittadini, risulta alquanto diversa, specie in materia di lavoro, di salari , di povertà e dei servizi di welfare (istruzione, sanità, assistenza) ancora inferiori alla media europea. Tuttavia, secondo il governo, un ulteriore miglioramento dovrebbe derivare dalla riforma costituzionale del premierato, finalizzata ad aumentare la stabilità dell’esecutivo.
Eppure, se osserviamo l’attuale funzionamento del nostro sistema politico, dobbiamo constatare che il governo Meloni è un governo stabile, certamente tra i più stabili tra tutti quelli della vita della Repubblica. Eletto nel 2022, dopo una competizione elettorale con un sistema elettorale maggioritario (Rosatellum) tra una coalizione di centrodestra e alcuni partiti di centrosinistra divisi, per cui il risultato era già scritto in partenza e di ampia entità. Nella vita successiva del governo tale maggioranza è apparsa sempre scontata, per di più rafforzata dalla ferrea unità tra i tre partiti che, tramite il collante del potere, ha consentito di andare avanti nonostante i loro crescenti dissensi e litigi su tutto. Al punto che, secondo alcuni osservatori, il premierato è già diventato una realtà, constatato anche il ruolo debordante della premier.
Questo giudizio è confermato dal modo concreto col quale già oggi sono impostati i rapporti del governo con le altre istituzioni. Mentre fin dalla presentazione della legge, si assicurava che con l’elezione diretta del premier i poteri e le funzioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica non sarebbero stati toccati, la realtà odierna risulta ben diversa. Il Parlamento è ridotto ad una attività legislativa pressoché limitata all’approvazione dei soli decreti-legge del governo (62 in 19 mesi), discussi in una sola Camera e ratificati dall’altra, con maxi emendamenti governativi in aperta violazione del dettato costituzionale, con “confluenze” di decreti-legge in altri decreti in fase di conversione pure anomali, e tramite montagne di voti di fiducia che umiliano i parlamentari, costretti a votare solo si e no. In tal modo, il Parlamento come cuore della democrazia parlamentare non esiste più.
Lo stesso Presidente della Repubblica, nonostante tutte le ipocrite assicurazioni in senso opposto, sarebbe ridotto a semplice notaio circa le scelte del governo e dei ministri, cioè, marginalizzato nelle funzioni più rilevanti di arbitro nei passaggi cruciali della vita della Repubblica. Pur proseguendo in modo impeccabile nella sua azione di applicare la lettera e lo spirito della Costituzione alla vita del Paese, egli risulterebbe sempre più misconosciuto e trascurato dal governo.
A tale riguardo, è emblematico quanto avvenuto il 2 giugno, durante la Festa della Repubblica, quando, per avere nel suo discorso, applicato rigorosamente la Costituzione auspicando un aumento della sovranità europea, un inconsapevole senatore della Repubblica ha chiesto le sue dimissioni, scelta coperta dal vice premier Salvini, mentre la Presidente del Consiglio non ha avuto nemmeno l’elementare educazione istituzionale di esprimere la solidarietà con il Capo dello Stato, vilipeso da un suo vice. Un autentico caso di squallore istituzionale.
Si tratta di chiari segnali che il processo di alterazione degli equilibri di garanzia democratica, previsti dalla Costituzione, risulta in corso, e, a questo punto, la riforma del premierato servirà soltanto per conferire legittimità costituzionale a questo processo degenerativo in atto. Per cui gli stessi tempi della sua approvazione vanno giocati in funzione di tale obiettivo.
Non a caso, per rendere più sicuro il risultato del referendum si è parlato di farlo coincidere con le prossime elezioni politiche, o addirittura nella prossima legislatura, quando il governo Meloni si ritiene più sicuro. A quel punto la nostra democrazia parlamentare e la stessa sostanza della nostra attuale Costituzione non esisteranno più.