di Alberto Varinelli, curato di parrocchia. Pubblicato in La barca e il mare del 3 giugno 2024.
Non mi sognerei mai di scrivere al papa. Non solo perché non credo egli abbia tempo di prendere seriamente il poco che un curato di parrocchia potrebbe scrivergli, avendo ben altro da fare, ma anche per una scelta personale che mi ha portato, negli ultimi due anni, a rimanere in silenzio perfino nelle nostre riunioni tra preti impegnati nella pastorale sullo stesso territorio diocesano. Quindi, per coerenza, ciò che non dico nelle nostre riunioni e ai miei stessi superiori, non mi permetterei di scriverlo al Papa. Però su alcune questioni mi piace immaginare di scrivergli una letterina… così, per esercizio mio, scrivo qui qualche appunto di una ipotetica lettera che, lo assicuro, non verrà mai scritta (motivo per il quale non scriverò, nell’incipit, alcuna mia presentazione, che risulterebbe inutile, per andare subito alle questioni che sottoporrei all’attenzione del pontefice).
Caro papa Francesco, l’ordinazione sacerdotale di sposati sembrava imminente. E invece
Vivo un tempo di perplessità. Sono sincero, sarò sempre “cum Petro et sub Petro”, come ho giurato prima di ricevere il sacramento dell’ordine nel primo e secondo grado. Tuttavia, pur nell’obbedienza a quanto la Chiesa stabilisce, desidero, in spirito di verità e comunione, manifestare alcune fatiche e alcuni dubbi su quanto vedo accadere. In questi anni, lei ci ha abituato a diverse aperture, alcune divenute scelte, come la pubblicazione di Amoris Laetitia (sulla cui applicazione, però, troppo si è lasciato alla scelta dei vescovi e delle singole diocesi, con tanti problemi interpretativi che si sono creati), altre rimaste inglobate in “battute” che hanno scaldato i cuori, acceso speranze, stimolato studi e ricerche, ma che, in definitiva, hanno condotto a una generale disillusione che, francamente, credo diventerà motivo di allontanamento dalla Chiesa da parte di molti e con una velocità per ora inimmaginabile.
Penso ad alcune sue affermazioni durante i viaggi apostolici. Qualcuno, scherzando, ha affermato che c’è da temere il Papa quando parla durante i viaggi aerei, soprattutto in riferimento alle sue affermazioni sull’omosessualità e sul non giudizio sulle persone (beh, sacrosanta affermazione, direi!) che, però, non hanno dato origine a una seria considerazione della questione, anche alla luce delle acquisizioni più recenti delle scienze umane.
In alcune interviste, così come in incontri con vari gruppi ecclesiali, lei ebbe modo di affermare che nella sua agenda avrebbero trovato spazio questioni importanti e delicate quali quelle dei cosiddetti “preti sposati” (ossia coloro che, a seguito di una relazione affettiva, hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio) e, soprattutto, quella riguardante la possibilità dell’ordinazione dei “viri probati”, specialmente per le aree del mondo dove la scarsità di clero rende impossibile raggiungere frequentemente le comunità per la celebrazione eucaristica.
Ricordo bene l’atmosfera di attesa di qualche anno fa, quando stava per essere firmata l’esortazione apostolica Querida Amazonia. Ricordo che una importante teologa, che era presente in qualità di relatrice a una formazione per noi presbiteri della Diocesi di Bergamo, quasi svenne (e si fece pure male..) alla notizia che era stata trovata la “quadratura” canonica e teologica dell’ordinazione dei “viri probati” per quelle terre. Tutto sembrava pronto per quel passaggio epocale, che per la teologia era chiaro e conforme alla verità rivelata. Ma non accadde nulla: il documento non fece che un accenno alla questione, senza apportare modifiche all’esistente.
Le donne diaconesse. Studi, commissioni… poi il “no”
Poi, la grande questione di questi giorni, Santo Padre: la sua intervista alla giornalista della rete televisiva statunitense Cbs. Non le nego il mio disappunto, che ho notato essere comune a quello di molti, teologi in primis. Lei stesso aveva voluto e istituito una commissione che studiasse la possibilità dell’accesso delle donne al sacro ordine del diaconato. Più volte lei si è espresso ricordando come queste fossero presenti nella Chiesa antica. La questione è stata portata nella prima fase del Sinodo che riprenderà a ottobre. Immagino l’impegno e l’entusiasmo di tanti teologi che stanno lavorando al tema. Nel poco tempo che ho a disposizione qualcosa ho letto anch’io: penso ai contributi importanti della teologa Serena Noceti e alle pubblicazioni (una, sulla questione del sacramento dell’ordine alle donne, in stampa in questi giorni) di Andrea Grillo e altri studiosi. È bello vedere teologi, siano essi presbiteri, vescovi o laici, offrire insieme i frutti del loro impegno di studio e discernimento su questioni così importanti per la vita della Chiesa. Fa davvero un gran bene, anche spirituale e non solo culturale, a noi preti “in cura d’anime”, che cerchiamo di tenerci aggiornati grazie ai loro studi e ricerche.
Ora, Santo Padre, immagino questi studiosi, così come i membri del sinodo da lei indetto; immagino si stiano ponendo la domanda che io porto nel cuore in questo momento: “Perché proseguire? Perché trovarsi a parlare di sinodalità di fronte a una sua palese smentita?”. Non si offenda Santo Padre, ma se la sinodalità, il discernimento comunitario, è vedere il papa comunicare che le donne non accederanno al sacramento dell’ordine del diaconato perché non serve questo ministero per valorizzare la loro importanza nella Chiesa (motivazione che, anche a me che non sono teologo, convince decisamente poco… nemmeno agli uomini serve l’ordine sacro per essere valorizzati nella Chiesa…) dentro un’intervista televisiva, beh, allora forse la sinodalità è finita prima ancora di iniziare.
Personalmente, fossi uno degli impegnati al sinodo, scriverei immediatamente le mie dimissioni: preferirei stare a casa mia, con la mia gente, a insegnare ai miei studenti o a gestire la mia diocesi/parrocchia piuttosto che perder tempo a fingere di parlare e confrontarsi su ciò che è già deciso a priori e che nemmeno è reso noto da un documento del magistero pontificio o da una nota di un Dicastero, quale quello della Dottrina della Fede, ma da un’intervista. Mi perdoni, Santo Padre, ma le questioni teologiche, umane e di discernimento spirituale alla luce del Vangelo, non possono essere affrontate in aereo o nelle interviste, ma nelle sedi opportune. Lei, come legislatore universale per la Chiesa, può scegliere ciò che, in coscienza, reputa di decidere per il bene della Chiesa tutta.
Fece così anche Paolo VI, quando non reputò di assecondare la maggior parte dei teologi, favorevoli alla contraccezione e decise, nell’enciclica Humanae Vitae, di fare la scelta opposta e proporla come magistero della Chiesa. Poteva farlo e lo fece, ma in un’enciclica, non in un’intervista.
Le chiedo scusa Santo Padre; più di un anno fa scrissi che avevo un timore per il sinodo, ossia che esso sarebbe stato un evento che avrebbe parlato di tutto, acceso speranze, ma che, alla fine, non avrebbe cambiato nulla e l’unico “frutto “sarebbe stato un documento teologico che dice tutto e niente. Oggi, ne sono ancora più convinto.
Tuttavia, pur nel dispiacere, resterò fedele alla Chiesa, perché solo nella Chiesa, come scriveva don Milani, trovo Gesù Cristo e i sacramenti attraverso i quali egli agisce. Non dimentico di pregare per lei, Santo Padre, come lei sempre richiede; lo stesso La prego di voler fare per me”.