di Mario Iannucci e Gemma Brandi. Psichiatri psicoanalisti. Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto. Pubblicato in Quotidiano sanità del 10 giugno 2024.
Gentile Direttore,
- lo scorso 5 giugno, sulla newsletter di Ristretti Orizzonti sono comparse, una di seguito all’altra, quattro notizie:
- 1a notizia: Roma. Ieri a Regina Coeli il 39sesimo suicidio dall’inizio dell’anno nelle carcero italiane;
- 2a notizia: Ravenna. Giovane suicida in carcere. Tanti ricoveri precedenti: “Mi chiedeva l’eutanasia”
- 3a notizia: Rieti. Tenta di uccidersi in carcere, detenuto salvato in extremis
- 4a notizia: Lamezia Terme. Il dramma dei suicidi in carcere: anche in città iniziativa della Camera penale.
Qualsiasi operatore sanitario che intendesse sorvolare sul carattere drammatico di tali notizie, dimostrerebbe un livello preoccupante di inciviltà e di cinismo: 39 morti nei primi 157 giorni dell’anno vuol dire che, se continuerà questo trend, avremo 90 suicidi in carcere in fondo all’anno; sarebbe un ulteriore record rispetto a quello precedente del 2022, quando si registrarono 85 suicidi. Cosa significa 90 suicidi su un numero di detenuti che è all’incirca di 61.000 soggetti? Significa che il numero di suicidi per 100.000 detenuti (cosiddetto tasso grezzo di suicidi) sarebbe di circa 147. Questo numero di suicidi sarebbe di circa 15 volte (quindici volte!) superiori al numero delle persone che nel 2022 si sono suicidate in Italia ogni 100.000 abitanti (9,9 persone). Nelle carceri italiane, cioè, le persone si suicidano 15 volte più che all’esterno.
Negli anni passati si è data la colpa al sovraffollamento carcerario. Si è inoltre segnalata la carenza del personale addetto alla sorveglianza. Tuttavia è ormai ineludibile la constatazione che l’elevatissimo numero dei suicidi in carcere non può che dipendere da alcuni fattori strettamente connessi: intanto l’esorbitante numero di detenuti che presentano disturbi psichici gravi o gravissimi, detenuti che soffrono spesso di una “doppia diagnosi” (dipendenza da sostanze e disturbi psichici insieme, con la dipendenza da sostanze che è di per sé un grave disturbo mentale); la percentuale elevatissima di detenuti stranieri; la totale inadeguatezza della organizzazione socio-sanitaria nell’affrontare un carico così pesante ed esteso di disturbi mentali; la crescente indifferenza della società civile alla risposta concentrazionaria che la società sta dando al disagio psico-sociale, che fa il pari con la quasi totale indifferenza agli attuali problemi penitenziari.
Il fatto (poiché di un fatto si tratta, documentato da tutte le ricerche epidemiologiche serie) che i disturbi mentali, tossicodipendenze comprese, rappresentino ormai da diversi anni il principale problema all’interno dei luoghi di pena, non può e non deve più essere ignorato. Desta vergogna e preoccupazione la circostanza che ai disturbi psichici gravi, specie quelli che affliggono pazienti not compliant, l’organizzazione pubblica della salute mentale e delle dipendenze non riesca che a dare una risposta detentiva. Con il carcere che, per dirla con le parole recentemente usate da una brava poliziotta penitenziaria, “si sta trasformando in un grande OPG”. E se gli OPG erano, per dirla col Presidente Napolitano, “orrori indegni di un Paese appena civile”, le carceri si sono incamminate da diversi anni nella stessa direzione.
Le carceri che si trovano spesso a detenere folli-rei per i quali i Giudici hanno già ordinato, con sentenza/ordinanza, il “ricovero” nelle REMS, dove però non c’è posto. Come se nel carcere si potessero garantire cure adeguate per i moltissimi che presentano disturbi psichici seri o serissimi. Eppure un gran numero di psichiatri -specie fra quelli che in carcere non hanno mai lavorato- continuano a proporre l’abrogazione delle norme di legge che riconoscono la non imputabilità (e la non punibilità attraverso il carcere) di coloro che hanno commesso un reato per “vizio totale o parziale di mente”: si tratta degli psichiatri dei comitati che un tempo si chiamavano “Stop OPG” e che ora si chiamano “Stop REMS”. Ma sì: le REMS italiane attuali, che ospitano solo 700 malati psichici autori di reato mentre altri 700 non possono entrarvi perché i posti sono insufficienti, andrebbero abolite e anche i gravi malati di mente, come tutti gli altri cittadini, dovrebbero essere condannati e, se colpevoli, dovrebbero andare in carcere! In un carcere già stracolmo di sofferenza psichica grave, una sofferenza tanto più difficile da curare perché riguarda spesso persone di un’altra lingua e di altra cultura.
La psichiatria, ormai moribonda, si dimentica delle sue lontane ma vitalissime origini, quando Chiarugi, Esquirol, Pinel e Tuke andarono nelle galere e affermarono con forza che i tanti rei-folli detenuti dovevano essere curati e non semplicemente puniti.
Fateci caso: è questa Salute Mentale moribonda che continua a reclamare maggiori risorse. Per ottenere maggiori risorse, però, occorre anche dimostrare di essere in grado di spenderle bene, queste risorse. Una Salute Mentale che si sottrae alla responsabilità della cura dei pazienti più difficili, lasciandoli in balia di un sistema penitenziario assolutamente inadatto alla cura di tali persone, è davvero molto difficile che dimostri di essere in grado di utilizzare adeguatamente le risorse economiche che reclama.