di Paolo Pombeni, direttore del “Mulino", editoriale pubblicato il 29 luglio 2024.
La crisi che stanno attraversando è evidente; ma se la diagnosi, secondo alcuni almeno, è chiara, la cura è del tutto ignota. Ciò che ha messo in crisi la tenuta del modello occidentale non è stato semplicemente il successo limitato, se non l’insuccesso, dei vari tentativi di «esportazione». Oggi infatti ci troviamo a fare i conti con una critica ai sistemi democratici che si sviluppa all’interno di quegli stessi Paesi che ne hanno varato e testato, ormai in quasi due secoli, il modello.
I sistemi che abbiamo definito neo-imperiali non condividono le coordinate del costituzionalismo occidentale, soprattutto per la ragione che non prevedono la presenza di una volontà popolare che liberamente si forma nel quadro di un percorso storico comune.
Dello stato della democrazia e della sua attuale crisi hanno parlato papa Francesco, a più riprese il presidente Mattarella, Ursula von der Leyen nel discorso programmatico per la rielezione al vertice della Commissione europea. Non è solo questione del funzionamento più o meno carente dei sistemi che si rifanno, pur in forme e con modalità diverse, al costituzionalismo così come si è evoluto dal modello liberale classico al modello che vi ha inglobato la dimensione sociale. Le difficoltà che ha incontrato e che incontra questo modo di organizzare lo spazio e la convivenza nelle società politiche sono note, discusse in varie sedi e dipendono in buona parte dall’evoluzione storica che ha coinvolto l’ambito geografico in cui il costituzionalismo è nato e si è sviluppato, cioè quello che normalmente si definisce “l’Occidente”.
L’aspetto inedito con cui si devono fare i conti è che da qualche decennio quel modello è considerato inaccettabile: ha perso la sua natura tutto sommato prescrittiva che ne faceva una componente essenziale della modernità. Si potrebbe obiettare che esso era già stato sfidato dai sistemi che, rifacendosi in modi diversi al marxismo, avevano ritenuto di proporsi come alternativi al paradigma costituzionale. Tuttavia, va subito precisato che quei sistemi, almeno nella versione che reclamava di esserne l’incarnazione più ortodossa, cioè nel regime sovietico, pretendevano di essere, coerentemente con la prospettiva di Marx, lo sviluppo compiuto e totale delle istanze che stavano alla base della rivoluzione costituzionale dell’Occidente, perché avendole separate dall’economia capitalista le aveva massimizzate nella loro capacità di “liberazione” dell’uomo (il che in definitiva doveva essere l’obiettivo dell’umanesimo occidentale da cui trae origine ultima il costituzionalismo).
Il crollo del sistema sovietico, l’ambiguità del sistema socialista cinese che sembrava essersi per tanti versi occidentalizzato, almeno nella gestione del sistema economico e nell’assunzione della rivoluzione tecnologica, avevano portato molti a concludere che il modello del costituzionalismo occidentale, ossia della liberal-democrazia, si fosse ormai affermato sbaragliando i suoi avversari, unico modello cui rivolgersi per rimanere nell’ambito della “modernità”. È nota la tesi di Francis Fukuyama sulla “fine della storia”, nel senso di esaurimento della capacità di sfida alternativa al quadro del costituzionalismo con le sue incarnazioni economiche e sociali.