di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La ridda di ipotesi e valutazioni del voto negativo di FdI alla riconferma di Von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, apparsa sulla stampa e nei commenti televisivi corre il rischio di non farci capire fino in fondo cosa è veramente avvenuto giovedì scorso a Strasburgo. Meglio attenersi ai fatti essenziali che, a mio avviso, possono avvicinarci maggiormente alla verità.
Il problema inizia con la nascita dello stesso governo Meloni nel 2022, con il quale, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, va al potere un esecutivo che nella sua maggioranza è contrario all’Unione Europea, come l’hanno pensata e in parte costruita i Paesi fondatori, tra cui l’Italia, che l’ha chiaramente intravista nelle regole della sua Costituzione. La nuova Presidente del Consiglio ricopre contemporaneamente la carica di Presidente del gruppo europeo dei Conservatori e riformisti (Ecr) che sostiene appunto tale Europa diversa, nel senso che prospetta una confederazione europea di Stati sovrani che non rinunciano ad alcuna parte di sovranità, ben diversa dall’Europa federale dei fondatori, che, proprio tramite la cessione di sovranità, vogliono dar vita a una istituzione con una propria identità e iniziativa politica, protagonista sul piano globale.
Per l’Italia una situazione di cambiamento radicale che avrebbe dovuto essere discussa e approfondita per essere consapevolmente accettata. Nella realtà è invece passata sotto silenzio tanto che Meloni ha impostato le elezioni europee su se stessa e su ciò che l’Italia deve rivendicare a Bruxelles, senza chiarire il modello di Europa che ha in mente. In tal modo si è mantenuta in vita una enorme contraddizione che si cercato di gestire con riferimento al ruolo storico dell’Italia in Europa. Si è utilizzata subito la grande opportunità di sviluppo rappresentata dal Pnrr, fondato sul debito comune, incompatibile con il modello europeo in cui Meloni crede, ma ad oltre 200 miliardi da investire non si poteva dire no.
Nello stesso tempo si è operato per raggiungere con la Commissione una intesa sui migranti di segno difensivo mantenendo tuttavia un atteggiamento di attenzione critica sulle prospettive dell’Europa. Nella sostanza si è cercato di ottenere i maggiori risultati possibili in una fase ritenuta di transizione. L’obiettivo rimaneva quello di spostare a destra l’equilibrio politico dell’Ue fino a cambiarne i connotati politici finali. In tal senso si è sviluppato un tessuto di rapporti con i leader della destra, da Orban, al polacco Mazowiecki, a Le Pen, puntando a fare delle elezioni europee un momento importante di tale processo. In questa occasione Meloni ha cercato di utilizzare la suddetta contraddizione per avanzare alcune richieste relative al ruolo dell’Italia nel nuovo governo, cioè l’elezione di un vicepresidente della Commissione e un commissario Ue di peso politico.
L’esito elettorale, confermando. pur di misura, l’attuale maggioranza, formata da popolari, socialisti e liberali, l’ha anche legittimata a formare il nuovo governo,, e Von der Leyen, per rafforzare il consenso alla sua riconferma, non a caso si è rivolta ai Verdi, cioè alla parte politicamente più vicina. Appare quindi del tutto evidente che una alleanza organica con questo governo italiano di destra rappresentava, per la maggioranza Ue, una contraddizione politica insostenibile per cui il vero e proprio negoziato non c’è mai stato, avendo anche presente che, auspice la Lega, che nel frattempo aveva deciso di unirsi a Orban nel nuovo gruppo dei Patrioti, si è posta una sorta di incompatibilità politica con i socialisti. Il voto negativo di FdI e Lega sulla riconferma di Von der Leyen, al di là di qualche incertezza dell’ultima ora, è stata la logica conseguenza dei fatti, destinata a influire in modo determinante sul futuro ruolo europeo del nostro Paese.
E’ apparsa quindi inevitabile la non concessione all’Italia di un vicepresidente della Commissione mentre avremo un Commissario Ue, che spetta a tutti gli Stati membri, ma sarà certamente di peso politico inferiore alle attese. Da oggi quindi, con maggiore chiarezza, l’Italia fa parte dell’opposizione di destra nella Ue, con una forte virata nella nostra politica estera perché anche una scelta atlantica senza quella europea, specie nell’ipotesi della vittoria di Trump negli Usa, ci collocherà inevitabilmente ai margini della politica globale. L’Italia Paese fondatore diventa un ricordo del passato e, d’ora in poi, i rapporti con l’Ue e l’Occidente dovremo concretamente ridefinirli partendo da punti di partenza diversi, come dimostrano la concessione, nel Parlamento Ue di una sola presidenza di commissione al Pd e niente alla destra, e la scelta della Nato di uno spagnolo e non un italiano a responsabile del Fianco Sud dell’alleanza.
Il governo Meloni cerca di superare la sconfitta dichiarando la sua volontà di collaborare con Bruxelles, ma è certo che l’impasto dii tatticismo e propaganda, che ha finora ha caratterizzato gran parte della sua prassi, non costituisce una politica all’altezza delle esigenze dell’Italia. Tuttavia, in questo momento di difficoltà, non possiamo dimenticare cha la nascita, la linea politica anomala nella storia della Repubblica e gli stessi errori di questo governo sono anche frutto della divisione, dell’incomprensione e dei ritardi politici e strategici del centrosinistra. In particolare, la sottovalutazione del problema europeo come limite strutturale che segna una particolare vulnerabilità del governo di destra e l’insufficiente battaglia politica in questo ambito. Per questo il futuro del Paese dipenderà soprattutto da come Pd e alleati riusciranno ad essere concretamente alternativi.