Presentazione e sintesi a cura di Alessandro Bruni
Da quando un anno fa, ho saputo che mio nipote è autistico, mi sono gettato nello studio di questo stato neurologico per imparare a conoscerlo meglio e al contempo di conoscere meglio me stesso nel mio volontario proposito di voler essere un nonno caregiver. Non che i genitori non bastassero, ma per essere loro di aiuto e per dare un nuovo senso alla mia "nonnitudine" con il proposito di lasciarmi divenire nell'agito di questa nuova realtà familiare.
Dopo aver letto tanto sul piano neuropsichiatrico, neurologico e genetico (è stato il mio primo approccio al problema dato che sono un biologo farmaceutico), ho continuato a leggere fonti di base psicologica ed educativa (che è stato il mio secondo approccio poiché la vita mi ha portato vivere forti esperienze familiari di disabilità). La mole di ricerche, la complessità, la difficoltà dello spettro autistico hanno finito per rendermi dapprima confuso e poi fuorviante dal compito che mi ero prefisso: fare il nonno di Tommaso e non il suo supervisore pseudoclinico.
In una riunione di famiglie con figli autistici ci è stata consigliata la lettura di: 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi di Ellen Notbohm, Editore Erickson, 2023. Nello sfogliarlo sono rimasto colpito dalla presentazione di Karen Topper che scrive:
“Quando mio figlio ha avuto la diagnosi ero sconvolta, confusa, con il cuore a pezzi. Uno o due giorni dopo, ha preso il libro 10 cose e per me è stato una ventata di aria fresca. In quel momento non avevo bisogno di una pila di tomi di medicina e ricerche specialistiche. Mi serviva esattamente ciò che ho avuto da questo libro: empatia, comprensione e speranza.”
Ho subito pensato che era proprio quello che cercavo e a conferma nella quarta di copertina si legge: Uno strumento essenziale per evitare l'improvvisazione ed essere guidati in modo pratico nel nostro modo di pensare e agire di fronte alle sfide e alle opportunità poste dall'autismo.
Ellen Notbohm partendo dalla sua esperienza personale (ha due figli autistici), indica “10 cose” fondamentali da sapere, immaginando che siano gli stessi bambini e bambine a parlarne. 10 cose, non ricette, spiegate in 10 capitoli non banali e ricchi di suggerimenti che prendono l'avvio da quanto un bambino autistico immaginario si propone di dire ai suoi genitori:
1. Io sono un bambino
Il mio autismo è parte di ciò che sono, ma non è tutto ciò che sono. Tu sei una cosa sola? Oppure sei una persona con pensieri, sentimenti, preferenze, idee, talenti e sogni? Sei grasso, miope o maldestro? Magari sono queste le prime cose che noto quando ti vedo, ma in realtà tu sei più di questo, no? Sono un bambino, che impara e cresce. Né tu né io possiamo sapere quali capacità svilupperò. Se pensi a me come a una sola delle mie caratteristiche, corri il rischio di fissare un’aspettativa troppo bassa. E se io mi accorgo che tu non credi che io possa “farcela”, la mia reazione naturale sarà di non provarci neanche.
2. I miei sensi non si sincronizzano
Significa che il normale flusso di immagini, suoni, odori, gusti e sensazioni tattili, a cui probabilmente tu neppure fai caso, per me può essere molto doloroso. Ciò che succede intorno a me mi mette spesso a disagio, a volte addirittura mi spaventa. Forse avrai l’impressione che io sia distaccato o aggressivo, ma in realtà è perché sento la necessità di proteggermi. Anche solo andare al supermercato può essere una tortura per me: ti spiego perché. Il mio udito è ipersensibile. Sento decine di persone che parlano contemporaneamente, anche quelle lontane che sono fuori dal mio campo visivo. E poi gli altoparlanti che gracchiano le offerte del giorno. Il mio olfatto potrebbe essere ipersensibile. E anche i miei occhi sono bombardati! Le luci pulsanti rimbalzano su ogni cosa e distorcono ciò che vedo. Ci sono troppi oggetti perché io riesca a concentrarmi e a volte mi sembra che una parte del mio cervello si spenga.
3. Distingui fra ciò che non voglio fare e non posso fare
Non è vero che non ti do mai retta quando mi dici cosa fare, o che non voglio assolutamente farlo. Non è per questo che non ti ubbidisco. Il fatto è che non ti capisco, o non sono ben sicuro di cosa dovrei fare. Per dire, quando mi chiami dall’altro lato della stanza, io sento: £$%&ç§#, Luca. Piuttosto vieni vicino a me, richiama la mia attenzione e parla con parole semplici: “Luca, rimetti il libro sulla scrivania. E’ ora di mangiare”. Così mi dici cosa vuoi che faccia e cosa succederà dopo. Ora si, che posso accontentarti. Certe volte, le cose che mi chiedi mi fanno male o mi mettono a disagio, ed è qualcosa che non so controllare. Certe volte, non posso fare ciò che mi dici e non so come farti capire il motivo. Ma so di certo che non è perché non voglio. E perché non ci riesco.
4. Sono un pensatore concreto. Interpreto il linguaggio letteralmente
Mi confondi quando mi dici “Ehi, frena cowboy!” se in realtà quello che intendi dire è “Smetti di correre”. Non dirmi che qualcosa è “come bere un bicchiere d’acqua” quando non vedo in giro nessuna bevanda e ciò che intendi dire è “Questa cosa è facile da fare”. Se mi dici “Oggi fa molto freddo”, per me stai descrivendo un dato di fatto. Ma non mi viene in mente che ciò che vuol dire davvero è “Mettiti i pantaloni lunghi, non quelli corti”. Non dire “Diamoci un taglio”, se non vedo nessun paio di forbici e in realtà vuoi solo che smetta di fare ciò che sto facendo. E quando mi dici “E’ solo un modo di dire”, per me non ha senso. Le varie espressioni che la gente usa per esprimersi spesso mi disorientano. Se me le insegnerai, mi impegnerò a imparare il significato di qualcuna di queste frasi assurde. Ma per il momento, ha bisogno che tu mi dica semplicemente che cosa vuoi che faccia, e che esprima esattamente ciò che vuoi dire.
5. Fai attenzione a tutti i modi in cui cerco di comunicare
Per me è difficile dirti di cosa ha bisogno se non ha modo di descriverti i miei pensieri e le mie sensazioni. Potrei essere affamato, frustrato, spaventato o confuso, ma al momento non riesco a trovare queste parole. Fai attenzione al mio linguaggio del corpo, alla mia tendenza a isolarmi o agitarmi o ad altri segni che indicano che c’è qualcosa che non va. E’ tutto lì da interpretare. Oppure per compensare la mancanza delle parole che mi servono, potrei snocciolare frasi o interi copioni che ho memorizzato da film, video libri o discorsi sentiti da altre persone. A volte dico cose che sembrano fuori luogo per la mia età, e magari non capisco neppure del tutto che cosa significano. So solo che, quando qualcuno si aspetta da me una risposta, ma non riesco a darla nel modo più normale, facendo così risolvo il problema.
6. Fammi vedere! Io ho un pensiero visivo
Fammi vedere come si fa qualcosa, anziché dirmelo e basta. Magari avrò bisogno di vederlo più volte, e non solo in un unico mondo. Tabelle, schemi con parole e immagini, meno e altre istruzioni visive mi aiuteranno a orientarmi e avere dei riferimenti nella mia giornata. Mi alleggeriranno dallo stress di dover ricordare ogni volta cosa c’è da fare dopo. Se vedo con i miei occhi che cosa devo fare e quando devo farlo, mi è più facile ricordarlo, e questo mi aiuta a organizzarmi mentalmente e a mantenere la calma. In questo modo posso passare da un’attività all’altra senza intoppi e svolgere meglio le azioni che ti aspetti da me. Per imparare qualcosa, ho bisogno di vederlo, perché le cose che mi dici svaniscono come vapore in un attimo, prima ancora di riuscire a coglierne il senso. Le istruzioni e informazioni che mi vengono presentate visivamente possono restare davanti a me per tutto il tempo che mi serve, e se le riguarderò in seguito saranno rimaste uguali a prima.
7. Concentrati e lavora su ciò che posso fare, anziché su ciò che non posso fare
Per me imparare diventa impossibile, se mi si fa pesare costantemente il fatto che non sono abbastanza bravo e ciò che faccio non va bene. Non ho alcuna voglia di cimentarmi in qualcosa di nuovo: tanto so già che mi dirai che sbaglio, anche se magari ti sembrerà di essere gentile. Ma io mi sto già sforzando di fare di meglio. Cerca dei punti forti in me, e li troverai. Per quasi tutte le cose, esiste più di un modo per riuscirci.
8. Aiutami nelle interazioni sociali
Tu lo fai sembrare facile, ma per me tutto ciò che è “sociale” è difficilissimo. Tanti aspetti che dai per scontati per me sono tutt’altro che ovvi, anzi mi lasciano perplesso e confuso. Potresti avere l’impressione che io non voglia giocare con gli altri bambini al parco, ma forse semplicemente non sono capace di unirmi ai loro giochi o di tenere il passo con le loro idee che cambiano da un minuto all’altro. Se mi metto a ridere quando Elena cade dallo scivolo, non è perché credo che sia divertente: è che non so cosa dire. A scuola, se le attività di gruppo mi mettono a disagio, è perché lavoro meglio quando faccio le cose da solo. E non pensare che, siccome sono intelligente, non dovrei fare fatica a capire come funziona la vita sociale. Non è qualcosa che riesco a imparare semplicemente osservando gli altri.
9. Identifica che cos’è che innesca la mie crisi
Tu li chiami crolli emotivi, ma per me sono più come delle esplosioni. Ti assicuro che sono molto peggio per me che per te. Io sto cercando di trasmetterti un messaggio, ma non riesco a farlo a parole: sto usando le mie reazioni per comunicarti ciò che avviene intorno a me, il senso di dolore e di panico che ho dentro. Non sto cercando di “farti impazzire” e non posso “smetterla”. Se ho una crisi è perché uno dei miei sensi, o più di uno, è andato in sovraccarico, o perché sono stato spinto oltre i limiti delle mie capacità sociali con le persone e le situazioni in cui mi trovo. E il mio comportamento potrebbe segnalare qualcosa che non va nel mio corpo, come allergie, mal di pancia o problemi di sonno. Qualunque cosa sia, io mi sento come aggredito. Ho bisogno del tuo aiuto per evitare le situazioni che mi fanno stare così. Se riesci a capire che cos’è che innesca queste crisi, puoi prevenirle. Non posso riuscirci da solo. Cerca dei segnali, perché ci sono sempre, ma io potrei non essere in grado di parlartene.
10. Amami incondizionatamente
Quando mi dici “Se solo tu potessi…” e “Ma perché non sei …?”, mi sembra già di sentire dentro di me la tua delusione. E allora mi chiedo ti hai fatto esattamente, fino all’ultimo, tutto quello che i tuoi genitori e insegnanti si aspettavano da te? Scommetto di no, e scommetto che non ti piacerebbe se te lo ribadissero ogni volta. Non ho scelto io di avere l’autismo. Ricorda che è una cosa che ho io, non tu. Io penso molto a quando sarò grande, a cosa voglio essere, a cosa voglio fare. Mi fa paura il fatto che, senza il tuo aiuto, potrei non riuscire a fare nulla di tutto questo. Ho bisogno che tu sia la mia roccia, la mia difesa, la mia guida. Sei in grado di amarmi per ciò che sono, senza “se” e senza “ma”? Così potremo scoprire insieme quanta strada riuscirò a fare!
Come dice Giacomo Vivanti nella sua presentazione, le 10 cose che l'autrice ci invita a considerare si muovono su un doppio binario. Da un lato riflettono sfide pratiche, necessità reali da cui non si può prescindere se si ha a che fare con l'autismo, come sovraccarico sensoriale e la frustrazione che si accompagna alle difficoltà do comprensione dei modi di comunicare, delle situazioni sociali, delle regole indecifrabili.
Dall'altro l'autrice propone, insieme alla praticità, anche luna visione, una filosofia, un modo evoluto di pensare all'autismo. Un approccio di cui si sente tanto il bisogno per superare uno stigma e dimostrare l'accettazione delle diversità all'interno del nucleo familiare e nella società. Significa dunque responsabilmente rispondere a questa domanda: In quale ambito della vostra vita permettete, consapevolmente o inconsapevolmente, agli altri (insegnanti, terapisti, familiari, ecc.) di prendere decisioni che riguardano la salute, l'istruzione e il benessere del vostro figlio autistico?
La risposta nasce dalla lettura completa del libro traendo significato dalle 10 cose di incipit sopra esposte, senza dimenticare che l’autismo è un tratto identitario che fa parte del modo di essere della persona, e risulta quindi inscindibile dal resto delle sue caratteristiche neurologiche. Infatti, il futuro della persona autistica è legato al percorso formativo perseguito dove sono di rilievo esperienza, identità e condizione umana, soprattutto in relazione al nostro modo di intendere, rappresentare e vivere la neurodiversità.
Che dire, un libro assolutamente da consigliare ai caregiver di bambini autistici per continuare con speranza un'avventura che cambierà la vita della famiglia e che si spera finisca col ridurne lo stigma sociale corrente.