di Stefano Allievi. Sociologo del mutamento culturale. Pubblicato nel blog dell'autore il 17 luglio 2024.
Spesso i piccoli fatterelli quotidiani sono capaci di aprire sprazzi di comprensione della società, illuminandone i lati oscuri, più di tante drammatiche notizie di cronaca, quelle che vanno in prima pagina. Ecco, ci occupiamo oggi di una di queste storie minori.
La prendiamo per buona, per come è stata riportata. Facciamo finta che sia una storia vera, anche se ci piacerebbe che non lo fosse. Ma prendiamo per buono che lo sia, perché è del resto assai verosimile: succede tutti i giorni. Ed è successo anche in un condominio vicino a Piazza dei Signori, a Treviso. Dove una signora si è sentita in diritto di esprimere ad alta voce e in presenza degli interessati (che per fortuna, essendo stranieri, non hanno capito) il suo parere sul fatto che non voleva vedere nel suo stabile “persone così” (nigeriani, neri), ospiti peraltro di un altro condomino. Il quale si è pure visto arrivare una mail e una telefonata di critica, per non dire di minaccia, o di protesta, da parte dell’amministratore di condominio e dell’agenzia immobiliare.
Ecco, la storia di Treviso è una storia emblematica. Il fatto che sia ancora possibile, nel 2024, immaginare che una persona si senta in diritto di protestare e strepitare, in maniera per così dire ovvia e naturale, e trovi l’ovvia e naturale complicità di chi pretende di gestire con le proprie regole un seppur minuscolo potere, perché nella sua casa ci sono anche (transitoriamente: e poco importa che si tratti di artisti africani ospiti della Biennale!) delle persone di colore, dei neri, è una cosa che ci riporta terribilmente indietro. Ma non alla preistoria: dopo tutto i Sapiens si sono mischiati con i Neandertal, e noi portiamo nel nostro DNA i geni di entrambi – e quelle sì, dopo tutto, erano più credibilmente delle specie diverse. Peggio: in un altro mondo.
Che dà l’idea di tutta l’arretratezza di un pezzo di Veneto profondo, anche di quello che si crede ricco, perché benestante, magari istruito, e quindi in qualche modo superiore, e con più diritti: anche quello di decidere sui diritti degli altri. Questi comportamenti – certo non generalizzabili, e non lo vogliamo fare: c’è anche l’altro Veneto, e ci piace pensare sia maggioritario – sono infatti trasversali: attraversano le classi sociali, i livelli di istruzione, la distinzione città-campagna, il fatto di essere uomini o donne, credenti o non credenti, di destra o di sinistra.
Quello che stupisce è che questo non stupisca. Che le autorità non si sentano in dovere di mandare un segnale a nome della città: e cominciare a intraprendere un’opera educativa che vada nella direzione opposta. Che i membri del palazzo in cui il fatto è accaduto non si indignino contro chi ha creato il caso. Che i familiari, le amiche, i colleghi, i conoscenti (dal panettiere al parrucchiere, dal barista a chi la serve nel negozio di moda preferito) non stigmatizzino questo comportamento. Che in qualche modo lo stesso astio irriflessivo che queste persone hanno riversato su questi ospiti stranieri non si riversi invece su coloro che ne sono all’origine e lo alimentano.
Ecco, manca una reazione altrettanto di pancia: non colpevolizzante, non stigmatizzante (non ha senso, non serve, non è utile: se non a far sentire ‘buoni’ gli altri, e non è detto che lo siano), ma semplicemente educativa, migliorativa del nostro vivere che chiamiamo civile. E ci manca terribilmente un criterio etico per giudicare tutto questo. E lasciarcelo finalmente alle spalle. Anche perché la semina (sotto)culturale, su questi temi, per molti anni, è stata spesso a supporto delle opinioni della signora in questione: e molti ne portano la responsabilità, negli ambiti più disparati.
Ma dobbiamo avere il coraggio di dircelo, guardandoci coraggiosamente allo specchio: “il mondo al contrario” contro cui si schierava recentemente un generale trionfalmente eletto alle elezioni europee con una valanga di preferenze, segno della popolarità dei contenuti che veicola, è in realtà questo. Di chi esprime questi contenuti. Non di chi è costretto a subirli.