di Gabrio Vitali. Pubblicato in Ytali del 9 luglio 2024.
La sfida lanciata al mondo della cultura e della scienza da Mauro Ceruti, lo scorso 25 Maggio su Ytali (cfr: Una nuova Paideia nel tempo della complessità) per la generazione di una grande Paideia «che contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa»; che riconosca come «la ricerca di un nostro rapporto coevolutivo con tutti gli attori del mondo, viventi e non viventi, sia la precondizione per la nostra stessa sopravvivenza e la possibilità di delineare un futuro vivibile e fecondo»; e che, perciò, sappia accogliere a proprio fondamento «l’indivisibilità e nello stesso tempo la pluralità dell’umanità», coinvolge direttamente un tema formativo e pedagogico, oggi come sempre, di grande portata antropologica: l’educazione alla fruizione consapevole e continuativa dell’opera di scrittura poetica.
Nella mia lunga esperienza di docente di Letteratura, ho sempre saputo che l’approccio scolastico al prodotto letterario ha finalità molto diverse da quelle che legittimamente si propone un’insegnante di altre discipline: un bravo docente di Matematica cerca ragionevolmente di formare dei giovani, ma discreti, matematici; o un docente di Chimica può sperare di creare dei decenti piccoli chimici; ma lo scopo di un insegnante di Lettere non può essere quello di generare tanti piccoli scrittori e poeti. Tantomeno discreti o solo decenti: ce n’è già un fottio in circolazione.
Lo scopo dell’insegnamento della Letteratura (per via della natura stessa della disciplina) è invece quello di un batesoniano deutero-apprendimento, vale a dire lo sviluppo e la capacità, nell’allievo, di un pensiero autonomo, aperto e continuamente rinnovato dall’abilità e dall’abitudine a trattare la costruzione del linguaggio e della sua interpretazione. La finalità ultima dell’educazione all’opera poetico-letteraria è quindi la conoscenza e il potenziale dominio delle infinite possibilità della lingua; vale a dire della sua elaborazione e della sua articolazione in linguaggio, che si riflettono nelle inesauribili possibilità di elaborazione e di articolazione del pensiero e dell’educazione al sentimento del mondo che ne ricaviamo.
In questo nostro tempo, il problema del linguaggio è quanto mai un problema fondamentale di civiltà.
Per esempio, una delle ragioni per le quali pare oggi difficile leggere e comprendere, in tutto il loro portato drammaticamente esiziale, la guerra tendenzialmente nucleare che Russia e Nato hanno a lungo preparato ed oggi conducono, per interposta distruzione dell’Ucraina, e quella reciprocamente genocidaria che Israele e Hamas hanno a lungo preparato e oggi conducono, per interposto massacro dei Palestinesi di Gaza, è la semplificazione e la serializzazione dei linguaggi con cui ne vengono diffuse e assimilate le narrazioni ufficiali. Sono linguaggi che dilatano all’inverosimile la dinamica omicida amico-nemico, che ripropongono la sacralizzazione dei confini, che rilanciano l’astratta retorica dello stato nazione, della difesa del suo territorio e dell’integrità etnica della sua popolazione, che pongono l’affermazione della pace come esclusiva conseguenza di una guerra vittoriosa e “giusta”, previo l’annichilimento del nemico e della sua storia.