di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La riforma costituzionale del premierato è stata approvata al Senato ed è in discussione alla Camera, in un contesto di scontro frontale senza mediazioni, al punto che tutta l’attenzione è rivolta all’esito del referendum, previsto a legge approvata, sul quale si deciderà la sopravvivenza o meno della legge. In questo clima di scontro frontale, tra maggioranza e opposizione, che sta caratterizzando l’intera vita di questo governo, per iniziativa di alcuni esponenti politici di centrosinistra, in prevalenza costituzionalisti e di cultura riformista, si sostiene la necessità di avviare, nel corso dell’iter legislativo della riforma, un confronto sui suoi contenuti per cercare di arrivare a una riforma condivisa.
Antesignano di tale indirizzo è stato il presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera, che in un’intervista al Sole-24 ore ha dichiarato che riformare il premierato è, non solo è possibile, ma necessario per favorire la stabilità dei governi e la loro normale durata per l’intera legislatura, traguardo quasi mai raggiunto nell’esperienza italiana. Dal punto di vista teorico, si tratta indubbiamente di una proposta corretta e coerente con la natura e la delicatezza di questa riforma. che interviene nel cuore della distribuzione dei poteri nella nostra democrazia parlamentare, ma è giusto interrogarsi sul fatto che il governo Meloni risulta nei fatti stabile e destinato a durare per l’intera legislatura, tanto da presentare la sua stabilità in Europa come elemento di legittimazione per aspirare a incarichi rilevanti.
Tuttavia, una stabilità a detrimento della qualità della politica, frutto di un populismo diffuso, sia pure in modo diverso, in entrambi gli schieramenti, che evita spesso i necessari approfondimenti di merito e preferisce la scorciatoia della radicalizzazione delle posizioni. Nel caso specifico del nostro Paese, ha un peso particolare, e credo preponderante, la cultura e la prassi politica del governo Meloni, che arrivato facilmente al potere, favorito dalla divisione del centrosinistra, ha espresso, in vario modo, scelte di merito e prassi politiche che mettono seriamente in discussione alcuni fondamenti della nostra democrazia e alimentano un continuo conflitto politico.
La riforma del premierato, incentrata sull’’elezione diretta del premier, accompagnata dalla riforma dell’Autonomia regionale differenziata, per alcuni aspetti contraddittoria con la prima, e una serie di altre riforme che mettono in discussione, sotto diversi profili, il nostro Stato di diritto (dalla giustizia alla concorrenza, alla libertà di stampa e altro) e una prassi che spesso umilia il Parlamento e persegue, con l’uso settario delle nomine, l’occupazione del potere pubblico. A stabilità pressochè raggiunta, la riforma del premierato può significare, per la destra, avere un ulteriore elemento teso a rafforzarla, anche se non così indispensabile come appariva in precedenza. A riprova di ciò sta anche il percorso rallentato con cui la stessa Meloni gestisce la riforma, senza particolari ansie di fare presto, e in tal modo si sente maggiormente legittimata a rallentare l’applicazione dell’autonomia regionale che la Lega vorrebbe invece accelerare.
Su questi presupposti il dialogo governo-opposizione, in teoria necessario, appare scarsamente praticabile anche perché, altre appaiono le principali preoccupazioni e urgenze del governo per il prossimo autunno. L’Unione europea, tramite il Rapporto annuale sullo stato di diritto nell’Ue, compilato dopo una serie di esami in loco nei singoli Paesi membri, per quanto riguarda l’Italia, esprime una serie di critiche su varie riforme, e sulla riforma del premierato avanza “preoccupazioni e dubbi” perché con le modifiche proposte si riducono i poteri del Presidente della Repubblica, si rompe l’equilibrio dei poteri istituzionali, risulta ancora assente la riforma elettorale, indispensabile per applicare la riforma.
Se a tali critiche si aggiungono gli analoghi rilievi dell’Ue sui i ritardi nella gestione del Pnrr, oltre alla procedura d’infrazione sul nuovo Patto di stabilità, che sommate alle osservazioni sl debito e il deficit pubblici del Fmi, e alla scelta alternativa all’Italia sul fronte sud della Nato, compresa l’incombente manovra di finanza pubblica per il 2025, appare evidente l’isolamento politico del nostro governo a livello europeo e internazionale.
Una situazione del tutto contraddittoria con la narrazione ottimistica, di protagonismo politico che la premier dispensa quotidianamente. Al punto che la stessa Meloni è corsa ai ripari dimettendosi da presidente del gruppo europeo dei Conservatori (Ecr), risultato del tutto incompatibile con gli interessi dell’Italia e con il suo stesso incarico di premier. Una scelta del genere avrebbe dovuto farla, per correttezza istituzionale, fin dall’inizio del suo governo, ma spesso sono gli errori e gli infortuni, con i conseguenti bagni di realismo, che fanno aprire gli occhi. Per cui, di fronte alle prospettive autunnali, quanto mai difficili per il governo, solo le modalità di uscirne ci diranno se la riforma del premierato manterrà o meno la sua necessità.