A cura di Emiliano Loria. Intervista con il prof. Luca Savarino. Pubblicato in Agingproject.unipo.it del 22 agosto 2024.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), fondato il 28 marzo 1990, è un organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri che svolge funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni e ha altresì il compito di informare l’opinione pubblica sui “problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute”.
Quali sono i temi fondamentali del documento del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle Cure Palliative?
Un ampliamento dei percorsi di cure palliative può contribuire non solo al benessere dei pazienti, ma serve anche a ridurre le spese legate a terapie inefficaci e indagini diagnostiche superflue, a ricoveri e cure intensive spesso inutili, che sono figlie di una concezione riduzionista e tecnicistica della pratica medica o, peggio ancora, di un atteggiamento “difensivistico” degli operatori sanitari che conduce a forme di ostinazione terapeutica irragionevoli: riguardo ai percorsi di fine vita, negli ospedali italiani si “cura” troppo, e molto spesso per la paura di essere accusati di aver curato troppo poco.
E riguardo al pregiudizio cui ha appena fatto cenno?
Va detto che la parola stessa “cure palliative” suscita spesso nei pazienti e nei loro familiari una reazione negativa immediata, perché evoca, nell’immaginario comune, l’idea di una patologia terminale e dell’approssimarsi della morte. In realtà oggi le cose sono molto cambiate perché le cure palliative non sono più limitate alla fase conclusiva della vita di un paziente, ma sono spesso cure palliative “simultanee” che si affiancano alle terapie che mirano a guarire il paziente o ad allungare il suo tempo di vita; in secondo luogo le cure palliative oggi non sono limitate al solo ambito oncologico ma svolgono un ruolo fondamentale nella gestione di molte malattie croniche (penso per esempio alle malattie neurodegenerative e all’importanza delle cure palliative nella gestione di tali malattie fin dal momento della loro insorgenza).
Il documento fa riferimento a un “approccio globale” al malato e a una sofferenza che investe tutte le sfere di vita del paziente, non solo quella fisica. Che cosa si vuole intendere precisamente?
Con ‘approccio globale’ si vuole intendere un approccio terapeutico olistico che intende farsi carico di tutti gli aspetti della sofferenza del paziente, non solo quelli legati al dolore fisico, ma anche quelli di carattere psicologico, sociale e “spirituale”. Il concetto di “cura”, in tal modo, si allarga ben oltre la dimensione della guaribilità e più in generale del prolungamento della vita e resta attivo fino alla fine della vita del paziente. Al tempo stesso, con approccio “olistico” si intende un orientamento terapeutico che mira a farsi carico non solo dei bisogni del paziente, ma anche di coloro che appartengono al suo nucleo familiare e affettivo e che includono anche coloro che sono definiti, all’interno del documento, i caregivers formali, cioè gli operatori sanitari focalizzati sul paziente.
Perché sottolinea la tempestività della comunicazione quale fattore determinante per le cure palliative?
Una cattiva comunicazione produce a cascata una serie di distorsioni che inficiano la gestione ottimale del paziente: in molti casi, per esempio, nel momento in cui un medico decide che è opportuno sospendere un trattamento e affidare il paziente a una struttura di cure palliative, si trova di fronte a una serie di difficoltà spesso insormontabili se il paziente non conosce la patologia da cui è affetto o se la famiglia chiede al medico di non comunicare al soggetto interessato la diagnosi.
Pur non potendo affrontare tutti i punti del Documento, vorrei sottolineare con lei quanto sia radicale e innovativo il ruolo che potrebbero e dovrebbero assumere le cure palliative.
La sfida che abbiamo davanti nel campo delle cure palliative sta nel riuscire ad attuare un cambiamento di paradigma all’interno del concetto stesso di “cura”. L’obiettivo, come abbiamo già ricordato, è quello di intendere la cura come un concetto multiforme, che non coincide esclusivamente con il tentativo di guarire il paziente e di allungare a tutti i costi la sua vita. La dismissione di questo approccio favorirebbe l’affermarsi di un modo nuovo di ‘cura’ che, come abbiamo visto, va intesa in senso molto più ampio, andando a includere aspetti psicologici del paziente – non solo fisici quindi – e a coinvolgere anche il benessere di tutti quegli attori che ruotano intorno al paziente, a beneficio del paziente stesso.
Mi viene da pensare però che questo “punto di svolta” possa essere attuato soprattutto in virtù di una adeguata formazione del personale sanitario.
Per favorire la crescita di una visione maggiormente comprensiva della medicina, sia come disciplina rivolta al trattamento della malattia (to cure), sia come attenzione alla soggettività del paziente (to care) sarebbe infine opportuno arricchire i programmi formativi di studenti e specializzandi con moduli di bioetica che forniscano al personale sanitario gli strumenti necessari per affrontare i dilemmi etici associati ai trattamenti terapeutici e diagnostici che emergono nel percorso di malattia alla fine della vita.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link