di Paolo Guiducci pubblicato in Avvenire il 20 agosto 2024.
Secondo Norberto Bobbio, la legge 180 che nel 1978 impose la chiusura dei manicomi e istituì i servizi mentali pubblici, è stata l’unica vera riforma compiuta dallo Stato italiano. Una provocazione, forse, quella del grande giurista, ma è indubbio che quella “rivoluzione” restituì cittadinanza a migliaia di persone che ne erano state totalmente private. Riconoscimento della dignità della persona, condivisione e apertura furono tre elementi di quella rivoluzione. Ma oggi, nell’Italia il cui 15% della popolazione soffre nel corso dell’anno di disagi psichici, cosa è rimasto di quell’evento rivoluzionario? E come ci si può rapportare di fronte alla sofferenza mentale e al disagio psichico?
«L’esperienza della sofferenza necessita di qualcuno che condivida. Sono necessari servizi basati sulla comunità, non solo servizi clinici ma reti che permettano alle persone di vivere una vita dignitosa». Devora Kestel, direttrice del dipartimento di Salute mentale e abuso di sostanze all’Oms di Ginevra, non ha dubbi: «occorre riconoscere e valorizzare la salute mentale, gli ambienti vanno trasformati, riducendo i rischi e aumentando di contro le opportunità» ma è fondamentale proseguire sulla strada del cambiamento intrapresa con la legge 180, contrastando come comunità la violazione dei diritti umani. Lo ha ribadito nel corso dell’incontro “Disagio mentale e compassione” che il Meeting di Rimini ha indetto a 100 anni dalla nascita dello psichiatra e neurologo Franco Basaglia che della legge 180 fu artefice.
Lo “sguardo” italiano sul disagio mentale continua ad essere originale. Ma non senza contraddizioni, di natura culturale, economica ed umana. Il blocco delle assunzioni che i vari governi ripropongono dal 2010. I 31.000 addetti di allora oggi sono diminuiti di un migliaio di unità, ma – attacca Starace – a fronte di un’utenza che è quasi triplicata. «È necessario incrementare il 3,5% di finanziamento destinato alla salute mentale»: nei Paesi del G7 questa quota sfiora il 10%. Secondo le stime dell’Ocse, il costo dei problemi diretti e indiretti “causati” dalla salute mentale è pari al 4% del Pil, «in Italia investiamo appena un ventesimo di quel che ci costa».
sintesi di Alessandro Bruni
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