di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Dopo due anni di vita del governo Meloni, credo sia opportuno utilizzare questo tempo di relativa vacanza per esaminare lo stato del nostro Paese, alla vigilia di importanti scadenze che influiranno, in ogni caso, sul nostro futuro. Il primo ambito da esaminare è quello della qualità della nostra democrazia che presenta una serie di problemi che tendono ad estendere alcuni aspetti di segno illiberale nella nostra convivenza politica.
Il primo motivo di preoccupazione è costituito dalla ridotta partecipazione dei cittadini che oggi, nelle occasioni elettorali, a fatica, raggiunge la metà degli aventi diritto. A ciò si è arrivati in particolare a causa della crisi dei partiti, spesso privi di democrazia interna e incapaci di presentare un’offerta politica in grado di interessare i cittadini sui reali problemi del Paese. Prevalgono invece, quasi sempre, i problemi e gli interessi di segno corporativo dei gruppi più influenti, con effetti di diseducazione politica del popolo.
Il Parlamento sta perdendo progressivamente la propria autonomia e sovranità e, da qualificato e indispensabile soggetto legislatore e di controllo del governo, si sta riducendo ad approvare i decreti-legge confezionati dall’esecutivo. Fors’anche per tale trasformazione, il governo Meloni si caratterizza per una stabilità della sua maggioranza, e appare destinato a durare per tutta la legislatura, nonostante i rapporti interni largamente conflittuali tra i partiti della coalizione. Tuttavia, rimangono in vita le riforme dell’Autonomia e del Premierato, ora sottoposte ad un iter rallentato e verranno giocate nel corso della legislatura in relazione al momento pi+ favorevole.
In ogni caso il loro destino appare legato all’esito dei relativi referendum, a cominciare da quello sull’autonomia dove siamo già alla raccolta di firme. Nell’attuale stabilità governativa il Premierato si profila come modalità semplificata di rielezione del premier tesa a rendere più difficile il cambio di maggioranza. L’altro ambito da esaminare riguarda la qualità delle politiche del governo Meloni. Come dato di partenza dobbiamo constatare che l’Italia di oggi non possiede un piano o un documento che tracci le linee fondamentali di sviluppo lungo le quali si intende procedere per realizzare alcuni obiettivi indicati. Nella realtà, si procede più o meno alla giornata, in relazione alle reazioni e ai problemi che si manifestano nella vita dei cittadini, cercando, di volta in volta, di predisporre le risposte che si ritengono possibili e migliori. Credo che la qualità politica della classe dirigente che ci governa non riesca ad andare oltre a questo livello di sintesi.
La stessa eccezionale occasione del Pnrr, che avrebbe potuto consentire una certa programmazione dello sviluppo, sta procedendo a rilento, con ritardi crescenti nella definizione e realizzazione degli interventi decisi, nonostante le risorse ricevute dall’Ue. Sulla crescita si procede con un tasso di sviluppo dello zero virgola, propagandato come superiore a quello di Francia e Germania, e si trascura il fatto grave che con questo andamento mancano le condizioni per affrontare i problemi strutturali del Paese.
Dal punto di vista demografico siamo un paese con pochi nati e che invecchia rapidamente riducendo il numero di abitanti complessivo. La carenza di crescita, sottolineata dal blocco della produttività, evidenzia anche la permanenza del problema del lavoro, che, nonostante un certo aumento del numero di occupati si caratterizza per la bassa qualità media e bassi livelli salariali che ci colloca in fondo alle classifiche europee, e determina un pericoloso flusso dei giovani migliori all’estero, alla ricerca di un lavoro più adeguato. Nello stesso tempo dobbiamo fare i conti con la crisi delle politiche di welfare, in particolare sanità e scuola che sono diventate gravi elementi di crisi e veicolo di povertà diffusa e di inadeguatezza della cittadinanza.
Di fronte a questi limiti e alle contraddizioni per i problemi non risolti il governo cerca di procedere, in politica interna, con uno sfoggio, di propaganda, condita spesso con vittimismo, e con un certo attivismo in politica estera, fatto di incontri, con i quali cerca di supplire ad una evidente nostra marginalità geopolitica. Con questa situazione il prossimo autunno si presenta denso di appuntamenti impegnativi e di decisioni che avranno un peso rilevante sul nostro futuro. A parte gli effetti delle guerre in corso che potrebbero determinare ulteriori ostacoli sul nostro cammino senza poter influire sul loro futuro, due mi sembrano gli appuntamenti autunnali più impegnativi: il negoziato con l’Ue e la manovra di bilancio per il 2025.
Con l’Europa dovremo chiarire e risolvere alcuni aspetti delle nostre scelte in materia di rispetto dello Stato di diritto e di ridefinizione dei nostri parametri economici strutturali alla luce del nuovo Patto di stabilità. Si tratterà di un negoziato complicato anche perché, da un lato, collegato alla richiesta italiana di un commissario di peso nella prossina Commissione Ue, e dall’altro alla necessità di scelte di austerità economica e finanziaria che mal si conciliano con gli orientamenti piuttosto lassisti del governo Meloni.
Ma, più in generale, questi problemi chiamano direttamente in causa la politica di alternativa, oggi ancora ferma ai limiti e alle contraddizioni del campo largo, dovuti soprattutto alle incertezze strategiche e unitarie del M5S. Ma la responsabilità maggiore dell’opposizione rimane tutta del Pd che non sa decidersi sulla indispensabile priorità di definire una chiara strategia alternativa di governo del Paese, e su questa costruire le alleanze necessarie per condurre una battaglia con concrete possibilità di vittoria. Il prossimo futuro ci dirà quali saranno le scelte concrete che definiranno il quadro della politica italiana futura, ma la preoccupazione prevalente rimane di incertezza sulla capacità dei diversi soggetti, di maggioranza e opposizione, di svolgere un ruolo politico all’altezza dei problemi del Paese.