di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
La Cina finchè non è entrata nel WTO (World Trade Organization, Commercio Mondiale) nel 2001 era un paese poverissimo. Crollata l’URSS nel 1991 e a lei applicati dagli esperti (repubblicani) di Clinton 10 anni di liberismo (con la complicità di Eltsin) che hanno impoverito i russi in modo impressionante al punto che le maestre elementari vendevano giornali pornografici nel metrò di Mosca per sopravvivere, si è aperta l’ascesa di Putin, che oggi raccoglie un consenso attorno all’80% in patria, in quanto ha riportato non solo occupazione e benessere in Russia ma quel “rango” di potenza mondiale che era sparito negli anni di Eltsin.
Fukuyama scriverà “La fine della storia” nel 1992, con l’idea (che si rivelerà errata) che con la vittoria del liberismo, gli Stati Uniti sarebbero diventati padroni anche dell’altro mondo (quello ex comunista) e potuto esportare il proprio modello liberale ovunque nel mondo. De-localizzando molte produzioni in Cina, dove il costo del lavoro era 20 volte più basso di quello made in Usa, le multinazionali americane, avrebbero fatto una montagna di profitti e, in effetti, è stato così, se si pensa che Apple nel 2021 ha guadagnato in un anno più che in tutti i 30 anni precedenti.
Non si era valutato però che i cinesi (come i giapponesi) sono bravi a copiare e che presto si sarebbero appropriati non solo della conoscenza di alcune tecnologie occidentali ma, sfornando 5 volte ingegneri, matematici e fisici, etc. di europei e americani, avrebbero potuto superare Stati Uniti e Europa in molti settori e conquistare alcune leadership tecnologiche rese oggi ancora più efficaci per via del controllo della grande maggioranza (80%) delle materie prime rare (o critiche) essenziali per l’innovazione tecnologica e l’Intelligenza Artificiale. Così la Cina ha già oggi (in termini di potere d’acquisto) un PIL maggiore di quello Usa e un mercato interno (di 500 milioni di cinesi) con un reddito analogo a quello dei 340 milioni di americani.
I politici americani non hanno saputo resistere alle pressioni delle lobby di multinazionali e banche (finanza) per avere ancora più profitto, mentre i politici cinesi (che non sono certo liberali) regolano duramente imprese e banche cinesi impedendo ogni trasferimento di capitali e ricchezza fuori dal paese. Ne sa qualcosa Jack Ma, il capo di Alibabà (l’Amazon cinese) che voleva far entrare capitali occidentali in Alibabà e che è stato prestamente ridimensionato dal potere politico cinese (si “è dedicato” alla filantropia), così come tutte le joint venture con le imprese occidentali sono a maggioranza cinese e il risparmio dei cinesi finisce nelle banche cinesi.
Adesso ci risiamo con l’Europa e con Stellantis che, in crisi strategica, ha acquistato il 20% di Leapmotor (una piccola automotive cinese), che produrrà 500mila auto cinesi elettriche (ed extended range) a Tychy in Polonia (nella fabbrica ex Fiat) da fine 2024 e le venderà in tutta Europa, bypassando così i dazi che l’Europa metterà da ottobre sulle auto cinesi. In tal modo Stellantis guadagna come produttore solo il 20% (tanto è la sua quota in Leapmotor) e una parte come “commerciante”. La politica europea non può farci niente perché siamo paesi liberali e la libera concorrenza deve stare al di sopra di tutto. Così potremo comprare anche in Italia il modello elettrico Leapmotor T03 a 19mila euro che è molto più basso della Citroen e-C3 venduta a 23.900 euro o di Dacia Spring. Poi arriverà anche il Suv Elettrico C10 di Leapmotor al prezzo di 36.400 euro, in quanto pare che Stellantis abbia fatto un accordo per vendere tutte le Leapmotor fuori dalla Cina tramite una società in cui è in maggioranza (51%), lasciando in minoranza i cinesi (49%). Stellantis diventa così un “commerciante” in cui guadagna la metà dei cinesi che rimangono però i proprietari della produzione e delle innovazioni tecnologiche. Non è escluso che avvenga quello che la Fiat e le case americane facevano decenni fa nei paesi del “terzo” mondo, cioè rimontare pezzi propri insieme ad alcuni (di minor livello tecnologico) fatti dal paese “terzo”. In gergo si chiama “completely Knockeddown- Ckd”, cioè smontare tutto e rimontare. Il che potrebbe avvenire anche con il possibile investimento in Italia dell’altra automotive cinese Dongfeng, per far si che in Italia (dopo la dismissione di Stellantis) si torni a produrre un milione di auto (questa volta per metà cinesi), sempre per aggirare i dazi europei ai cinesi.
Trump dichiara che darà enormi incentivi a chi produce in Usa (come già fa la Cina) e che creerà nuova occupazione e super dazi agli stranieri che vogliono vendere negli Stai Uniti, l’Europa segue più timidamente, sapendo che gli attuali 13 milioni di occupati nell’automotive di Volkswagen, Bmw, Daimler, Renault, Stellantis (che hanno perso negli ultimi 3 anni dal 40% al 69% della capitalizzazione) si ridurranno molto e per mantenere quei posti c’è chi pensa (come l’Italia) che bisognerà far venire in Europa le produzioni cinesi. La logica della concorrenza produrrà così un enorme impoverimento questa volta non dei paesi del “terzo mondo”, ma degli europei che lavorano. Per i ricchi e gli azionisti sarà invece uno sballo, compresi quelli di Unicredit che si appresta a lasciare l’Italia (di fatto è già una banca americana).
I cinesi invece sono “sovranisti”, nel senso che applicano il capitalismo ma lo regolano in modo che i vantaggi vadano soprattutto ai loro cittadini. Se la guerra commerciale con Usa ed Europa si fa dura, con reciproci dazi e protezionismi (che ovviamente sono la negazione della libera concorrenza), sono disposti a fare accordi come quello con Stellantis, in cui stanno anche in minoranza (49%), a patto che le loro auto siano vendute da Stellantis fuori dalla Cina senza dazi (e sbaragliare la concorrenza), così da guadagnare comunque la metà e rimanere in possesso della tecnologia e relativa innovazione. Stellantis ha si la maggioranza (risicata, 51%) ma diventa una sorta di commerciante e un assemblatore (più che un vero produttore) in Polonia. Da leader passa a follower, da marchio pregiato a commerciante “free rider”. Ma non credo sia un problema per il Ceo Tavares che guadagna 36 milioni all’anno. Anche in questo caso (come ai tempi della Cina nel WTO) la logica dei profitti a breve per gli azionisti, trasforma Stellantis in un “cavallo di Troia” per le auto cinesi in Europa, che faranno la concorrenza a tutti gli altri marchi europei.
Così un sistema autoritario come quello cinese dà più vantaggi ai propri cittadini di quello liberale occidentale, dove la libertà di guadagnare consente ad un singolo marchio (Stellantis) di essere un “free rider” (libero “cavaliere” o, meglio, libero avventuriero) che guadagna a scapito degli altri marchi e di tutti i lavoratori europei. Del resto la BCE (Banca Centrale Europea) ha come unico obiettivo della politica monetaria la lotta all’inflazione, mentre anche la Federal Reserve (Usa) ha nel suo statuto sia la difesa della moneta dall’inflazione, sia l’occupazione che la BCE non ha.
Siamo più prussiani (liberisti) del re di Prussia (Usa), i quali stanno cambiando idea anche sui fondi sovrani, che sono quei fondi di proprietà dello Stato nazionale usati per difendere le proprie imprese strategiche o per acquistare/entrare a farne parte sul mercato mondiale. Il più noto è quello norvegese (1.500 miliardi, 270mila euro per abitante) alimentato dai profitti dal petrolio e gas pubblico norvegese. Noi abbiamo CDP (Cassa Depositi e Prestiti con 478 miliardi di capitalizzazione). Secondo Global Swf i fondi sovrani statali sono cresciuti nel mondo a 12.400 miliardi a cui si aggiungono 15.900 delle banche centrali e 23.800 miliardi di fondi pensione pubblici per un totale di 52mila miliardi (quando nel 2000 erano solo 12mila). Ora anche il primo ministro laburista Starmer ha deciso di usarli e farà un fondo da 7,3 miliardi di sterline e Harris ha detto che lo farà anche lei (se vince). Benvenuti anglosassoni all’idea keynesiana che il ruolo dello Stato nell’economia sia importante!
Intanto lo studio Mediobanca su 1900 imprese italiane, quasi tutte con oltre 500 dipendenti (48% del fatturato della manifattura, 42% dei trasporti, 45% della distribuzione commerciale) mostra che i profitti delle imprese italiane sono ai massimi, mentre i salari hanno perso il 7,6% del loro potere d’acquisto dal 2021 al 2023.
Un sistema è più “democratico” se reca vantaggi ai suoi cittadini o agli stranieri e agli azionisti (spesso ricchi)?