di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La predisposizione della nuova legge di bilancio per l’anno 2025 rappresenta l’impegno politico più rilevante dell’autunno del governo Meloni. Nonostante si tratti di una operazione già realizzata nei due anni scorsi, quest’anno si presenta con alcune particolarità che rendono il suo percorso particolarmente difficile e complicato. Ciò, sia per la particolare situazione economica del Paese, che non cresce a sufficienza, sia per le nuove procedure con l’Ue, dopo l’approvazione del nuovo Patto di stabilità.
Infatti, tale procedura prevede che il Consiglio dei ministri approvi, entro il 20 settembre il Piano strutturale di Bilancio (Psb), della durata di sette anni che dovrebbe prevedere strategia, modalità di risanamento del debito e riforme per la crescita coerente con i criteri del Patto di Stabilità Ue, e le due Camere del Parlamento dovrebbero approvare una risoluzione sul Psb. Questo piano viene trasmesso il 20 settembre alla Commissione Ue e il 15 ottobre il documento della manovra 2025, mentre poco dopo arrivano i pareri delle agenzie di rating. Il 30 ottobre il governo presenta al Parlamento la legge di Bilancio 2025 ed entro metà novembre la Ue invia il suo parere, mentre il 31 dicembre rappresenta il termine ultimo entro il quale la legge di bilancio deve essere approvata.
Va subito constatato come la predisposizione del suddetto piano Psb stia avvenendo senza un approfondito dibattito anticipato in Parlamento, con le parti sociali e la società civile, in relazione al suo valore per il futuro dell’Italia e al fatto che la sua durata eccede quella della legislatura attuale. Più in generale, tutta la vicenda della manovra avviene limitando il ruolo del Parlamento al minimo indispensabile, all’insegna di un governo che preferisce fare i conti con i propri partiti trascurando la Camere. Una curvatura negativa della nostra democrazia. Il vincolo principale della manovra rimane quello del debito pubblico che ha ormai raggiunto la preoccupante cifra di quasi 3000 miliardi, che determina interessi passivi attorno ai 100 miliardi all’anno e rappresenta una pesante eredità che lasciamo ai giovani. Per eccesso di debito è in corso anche una procedura di infrazione europea rivolta all’Italia, mentre, secondo le regole del Patto di stabilità , la riduzione del debito dovrebbe avvenire con circa 10 miliardi all’anno.
Alla luce e di tale realtà il governo prevede che l’importo complessivo della manovra 2025 sia previsto sui 25 miliardi e, se teniamo presente che per rifinanziare le diverse voci che scadono a fine anno servono circa 19 miliardi e, pur avendo presente le maggiori entrate fiscali dei primi sette mesi di quest’anno, sarà necessario trovare circa ulteriori 15 miliardi che vanno cercati attraverso una selezione dei provvedimenti da confermare, ulteriori riforme fiscali, una gestione prudente dei conti col disboscamento delle spese superflue da parte dei ministeri. Sui contenuti della manovra esiste unità nella maggioranza sulla riconferma del taglio del cuneo fiscale, della diluizione di scaglioni e aliquote Irpef, della decontribuzione a favore delle mamme lavoratrici con tre figli a carico, del bonus psicologo. Mentre la riconferma di altre misure richiede ulteriori risorse.
Per quanto riguarda le innovazioni da introdurre il dibattito nella maggioranza registra posizioni differenziate e spesso contraddittorie con le esigenze di bilancio. Ad esempio, sulle pensioni la Lega insiste su quota 41 modificata e FI sull’aumento delle pensioni minime, sulla famiglia, dopo la riconferma dell’assegno unico, si insiste su maggiori sostegni ai congedi parentali e sull’estensione degli incentivi per badanti, sulla sanità si prevede un finanziamento di due miliardi ma per lo stesso ministro Schillaci servirebbe ameno il doppio, sul fisco si sollecita la detassazione del ceto medio e l’estensione del concordato fiscale I vincoli derivanti dal debito pubblico e la necessità di rispettare le regole del patto di stabilità europeo spinge il ministro Giorgetti a richiedere ai parlamentari della maggioranza di evitare di presentare proposte di modifica senza la relativa copertura perché il presunto tesoretto fiscale non esiste.
Le prossime scadenze verificheranno quanto i suddetti criteri saranno rispettati e quanto la legge di bilancio avrà contribuito alla crescita e alla stabilità del Paese. Ciò che comunque appare fin d’ora è la sottovalutazione della maggioranza di governo del rapporto con l’Ue su questa manovra, all’insegna della errata convinzione che l’Europa prima o poi dovrà adeguarsi. Questa volta il confronto si svolgerà su criteri appena definiti che valgono ovviamente per tutti gli Stati membri, senza particolari adattamenti. Bisogna anche tener presente che l’Italia ha ottenuto la ripartizione più favorevole delle risorse del Pnrr, nei realtà gestite finora con gravi ritardi. Inoltre, va considerato che attualmente sull’Italia pendono ben 72 procedure d’infrazione europee che fanno del nostro Paese uno dei più indisciplinati nell’applicazione del diritto europeo, e il penultimo, dopo la Polonia, per l’entità delle multe pagate.
Nel 2023 l’Italia ha pagato più di 113 milioni di euro per condanne della Corte di Giustizia. In tale situazione non si capisce perché l’Ue dovrebbe essere particolarmente comprensiva con il nostro Paese. Del resto, anche la stessa forte rivendicazione di Meloni per un ruolo pesante di Fitto nella Commissione Ue, compresa una sua vicepresidenza esecutiva, corre il rischio di trasformarsi in una trappola nella quale il governo italiano resta rinchiuso. Infatti, non è che Fitto a Bruxelles possa fare il libero giocatore, ma dovrà applicare rigorosamente le regole europee nei confronti di tutti gli Stati coinvolti nel suo incarico. compreso quello Italiano. Ho l’impressione che potremmo vederne delle belle.