di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Gli ultimi episodi relativi al rapporto con l’Ue, nonché le scelte salienti in tale ambito di questi primi due anni di governo, mettono in evidenza, senza ombra di dubbio, qual’é la vera concezione del governo Meloni dell’Unione Europea. Dopo che, per alcune provvidenziali contraddizioni della storia, un governo di destra, di segno complessivo antieuropeo, che si ritrova con il macigno di un debito pubblico vicino a 3 mila miliardi, ha a disposizione oltre 200 miliardi del Pnrr da investire, che avrebbero consentito di impostare un progetto di trasformazione strutturale della nostra economia, il tutto si è ridotto ad una pluralità di progetti, in gran parte piccoli, frutto più della sommatoria dei desiderata dei partiti alleati che dei problemi del Paese, e gestiti con forti contraddizioni e ritardi.
Inoltre, la premier Meloni, presidente del gruppo europeo dei “Conservatori e riformisti”. contraddittorio con il ruolo storico dell’Italia in Ue come Paese fondatore, si è guardata bene dal superare tale contraddizione, e ha continuato a perseguire una politica di distinzione e di dissenso rispetto all’Ue, culminata nel voto alternativo alle ultime elezioni europee, e nel voto contrario alla riconferma di Von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Questa politica ha spesso provocato tensioni e conflitti che hanno provocato anche in indagini dell’Ue nei confronti dell’Italia su materie delicate, relative ai diritti umani, Stato di diritto, ambiente, migranti, aiuti all’Ucraina, che in alcuni casi si sono tradotte in procedure di infrazione europea del nostro Paese. Ora di particolare rilevanza si prospettano i confronti relativi, al negoziato per la nomina di un Commissario Ue italiano, e al contenuto della prossima manovra di bilancio 2025 alla luce del nuovo Patto di stabilità europeo.
Il negoziato per il commissario Ue è stato aperto all’indomani dell’esito delle ultime elezioni Ue, che hanno confermato la precedente maggioranza di centrosinistra, segnando quindi una sconfitta per il governo italiano. Pur avendo presente che un commissario spetta ad ogni Paese membro, Meloni è partita, lancia in resta, chiedendo un commissario di peso politico, a cui ha aggiunto una vicepresidenza esecutiva, sulla base della realtà che l’Italia è Paese fondatore, che lei stessa, nei fatti, ha disconosciuto. Poi, con l’intento di aumentare il potere contrattuale è rimasta l’unico Paese a non specificare il nome del candidato, se non al termine di fine agosto. Un negoziato difficile, affrontato da Meloni con aggressività rivendicativa, condito con ottimismo propagandistico circa la disponibilità dell’Ue.
Per migliorare il risultato, la premier ha anche realizzato un incontro, a lato rispetto a Von der Leyen, con l’esponente di destra del Ppe Manfred Weber che, al di là di alcuni apprezzamenti, l’ha consigliata di modificare la sua posizione verso l’Ue. Questo voler andare, a tutti i costi oltre il politicamente dovuto, ha determinato una reazione di Francia e Germania sul possibile eccesso di ruolo dell’Italia sovranista, amica di Orban e all’opposizione. Allo stato, pur avendo l’Italia formalizzato il nome di Fitto, non si sa ancora quale sarà l’esito della vicenda ma è chiaro che chi mantiene una posizione sostanzialmente contraria allo sviluppo dell’Ue non può pretendere una partecipazione significativa al potere in Commissione. Molto probabilmente gli spetterà un incarico di seconda fascia come quello della coesione già prospettato. Lo stesso confronto sulla Manovra 2025 alla luce delle nuove regole del Patto di stabilità si presenta di particolare difficoltà, anche perché i problemi strutturali del nostro sistema economico (debito e qualità della crescita) risultano finora annacquati entro una pluralità di richieste e vincoli corporativi dei partiti della maggioranza italiana.
Inoltre, ad aggravare ulteriormente la posizione dell’Italia, sta crescendo la critica radicale all’Ue da parte di Salvini che, anche con la sua adesione al gruppo estremista dei Patrioti, in questo ambito contesta da destra la stessa Meloni. Mentre non c’è dubbio sul fatto che questi comportamenti, irresponsabilmente contraddittori, nuocciono pesantemente sulla credibilità dell’Italia, il governo Meloni cerca di nascondere agli italiani la sua vera posizione antieuropea puntando a ottenere a Bruxelles incarichi che, in qualche modo, lo rendano partecipante alla pari con tutti gli altri Paesi membri.
Ma l’essere sostanzialmente all’opposizione non può essere contrabbandato come una partecipazione paritaria al governo dell’Ue, tra l’atro contraddetta dalle continue critiche strumentali indirizzate all’Europa. A questo punto il rapporto Italia-Ue, oltre i tentativi di camuffamento, rimane uno dei più rilevanti problemi politici del nostro Paese, destinato a pesare in modo crescente sul suo futuro. Credo spetti anzitutto all’opposizione far emergere fino in fondo la sua vera gravità. Ma tale obiettivo dipende strettamente dal grado di europeismo attivo del nostro centrosinistra che, nei fatti concreti, lascia spesso a desiderare.